silenzio sugli invisibili
Di loro si parla solo quando muoiono. Quando il silenzio, l’incomprensione, la negazione del bisogno conducono al suicidio – o all’omicidio/suicidio – immancabilmente definiti sui giornali “tragedia della follia”. Pochi si chiedono cosa è successo prima, perché tante persone con sofferenze psichiche gravi non si rivolgono a chi può aiutarli e come mai tante altre, che pure sono accolte, curate, prese “in carico” dai servizi psichiatrici pubblici, non riescono a riannodare i fili dei loro percorsi di vita spezzati dalla malattia e restano ai margini di una società che non vuole vederli. Certo non è facile confrontarsi con la patologia psichica: forse perché della sua intollerabile “alterità” scorgiamo un piccolo frammento anche dentro di noi: forse perché per secoli è stata vista solo come pericolo sociale, da cui difendersi rinchiudendo chi ne soffriva; ma non si può continuare a ignorare una realtà che coinvolge il 2% della popolazione mondiale, migliaia di persone intorno a noi, oggi che una “guarigione sociale” è possibile, che anche le persone con disturbi psichici gravi possono grazie a cure e interventi mirati recuperare autonomia e competenze, lavorare e partecipare alla vita civile. Invece, la battaglia iniziata con lucida passione da Franco Basaglia e portata avanti da tanti operatori e familiari per ridare dignità e diritti di cittadinanza alle persone con disagio psichico, sembra adesso interrotta: dopo la chiusura dei manicomi i servizi e gli interventi previsti per rispondere ai bisogni abitativi, di inserimento lavorativo e sociale, sono stati realizzati solo in parte e, quel che è peggio, si rischia di tornare indietro; per mancanza di risorse molto di ciò che è stato faticosamente costruito può essere distrutto. Un esempio attuale è la situazione delle Comunità Alloggio per disabili psichici. Queste strutture residenziali, appartamenti inseriti nel contesto urbano, ospitano 8-10 persone con disagio psichico che sperimentano una convivenza di tipo familiare con il sostegno di alcuni operatori. In Sicilia vengono gestite in maniera integrata dai Comuni (che pagano le rette), mediante convenzioni con Cooperative Sociali, e dai Dipartimenti di Salute Mentale delle Asp, che si occupano dei percorsi terapeutico-riabilitativi degli utenti. Ma le difficoltà finanziarie di molti Comuni, in assenza di fondi vincolati, rendono precari questi servizi. In particolare le Comunità di Palermo vivono in uno stato di incertezza ormai divenuto emergenza: da quasi due anni il Comune non rinnova le convenzioni e non paga le rette; le Cooperative hanno continuato a sostenere le spese di gestione e gli operatori a lavorare autotassandosi, ma alcune comunità sono già state chiuse e altre rischiano la stessa sorte, con conseguenze disastrose per molti disabili privi di supporto familiare. A sostegno dei diritti degli utenti, il Co.Re.Ca.F. (Coordinamento Regionale Case Famiglia), associazione che riunisce operatori dei Servizi di salute mentale, del privato sociale e volontari, ha promosso manifestazioni e realizzato incontri con vari interlocutori del Comune di Palermo e dell’Assessorato Regionale alla Famiglia, ma nonostante l’impegno di molti non si è ancora giunti ad una soluzione soddisfacente. Venerdì scorso, alla Vignicella (all’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico) una tavola rotonda ha riunito operatori sociali e sanitari, disabili, familiari, esponenti politici e rappresentanti delle Istituzioni, per confrontare opinioni e proposte. Saranno varate altre iniziative, volte anche a sensibilizzare e coinvolgere la cittadinanza: perché è anche l’interesse e l’impegno di persone che non siano familiari o “addetti ai lavori” che può contribuire a dissolvere l”‘invisibilità sociale” dei disabili psichici.
(Raffaello Sanzio, La muta, 1507 ca.)