Nuove prove di dialogo, forse

8 settembre 2010 di: Giusi Catalfamo

Cambiano le persone, ma l’ambizione è la stessa: due popoli, due stati, almeno queste sarebbero le intenzioni. Il condizionale è d’obbligo, troppi sono i tentativi falliti. Ma stavolta la responsabilità è affidata ai due protagonisti, Abu Mazen, leader palestinese e Benjamin Netanyahu, leader israeliano. Un anno è il tempo che si sono dati per mettere a punto un piano organico. Ma ci sono delle pregiudiziali, dei sine qua non senza le quali è inutile provarci, e non sono cose da poco. I Palestinesi chiedono la fine dell’isolamento di Gaza, stop agli insediamenti da parte dei coloni a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, il ritorno dei profughi. Israele chiede protezione e sicurezza dagli attacchi di Hamas e delle altre organizzazioni terroristiche, che, da parte loro, si stanno già organizzando e coalizzando contro il processo di pace.

Madrina del primo incontro è stata Hillary Clinton, che ha presieduto l’incontro affermando che la nuova svolta, voluta fortemente da Obama, è affidata unicamente ai due leader, e che l’America non può imporre le condizioni. Ma Netanyau, ammesso che sia in buona fede, deve fare i conti con i coloni, che non sono disposti a compromessi per quella che gli ebrei considerano a tutti gli effetti la loro terra, direttamente affidata loro da Dio, fin dai tempi di Abramo. Quanto ad Abu Mazen, non certo amatissimo, deve fare i conti con Hamas, che invece ha un largo seguito a Gaza e in Cisgiordania. Senza dimenticare, che proprio i tentativi precedenti, sono già costati la vita a Iitzhak Rabin, assassinato da un estremista ebreo nel 1995. Come dire, Abu Mazen non è Arafat e Netanyau non è Rabin.

1 commento su questo articolo:

  1. simona mafai scrive:

    Cerchiamo di sostenere questo incerto e difficile cammino, con la sola cosa che possiamo fare: la forza delle nostre speranze.

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