vestirsi come ci pare, si o no

18 settembre 2010 di: Gisella Modica

La legge per vietare il burka, o vietarlo con le leggi sull’ordine pubblico che già ci sono, mi crea reazioni contrastanti che tra loro si annullano. Istintivamente reagisco come si reagisce davanti ai divieti per legge. E’ un fatto culturale, non lo si affronta con le norme, mi dico. Ognuno è libero di vestirsi come vuole, ha detto qualcuno che avrà reagito come me. Ma io su questo «vestirsi come si vuole» non sono d’accordo. Non credo ci sia libertà di scelta da parte di chi indossa il burka. Non credo esista al mondo una sola donna che ami quel tabarrano che le copre pure il viso. Si è anche detto: «è una reazione delle donne orientali, all’occidente e al suo concetto di libertà delle donne, che non condividono e dal quale si sentono aggredite, femministe comprese».

Bene, capisco allora il chador, il fazzoletto in testa. Lo metteva pure mia nonna tutte le volte che usciva di casa. Faceva parte del rituale, a volte una pura comodità per essere «a posto coi capelli», ma non glielo imponeva nessuno, se non la consuetudine. L’altra reazione, opposta e di pari forza, è: se sono in occidente devono rispettare le nostre leggi e consuetudini. Così come se io vado dalle loro parti ed entro in moschea mi copro le spalle, e se vado al mercato, le cosce. Dunque che se lo tolgano ‘sto tabarrano almeno per non spaventare i nostri bambini, perché io al pericolo del burka per l’ordine pubblico non ci credo, non mi convince. Ma rimane il fatto che io possa scegliere di farlo o non farlo e loro no. Rimanendo in tema di reazioni a pelle, quando la prima volta ho visto per strada una donna col burka, sono stata male. L’ho vissuta come una violenza sul mio corpo e per un attimo l’altra che lo indossava come complice di quella violenza. Se avessi conosciuto l’arabo, le avrei gridato: «guarda come ti sei fatta ridurre! Reagisci!» Non posso non farmi i conti con questa reazione legittima e non so francamente come uscirne.

Mi chiedo però se impedire il burka non significhi fare il gioco del nemico, ovvero una ulteriore schiavitù per queste donne, il cui padre marito-fratello-suocero- vicino-di casa, o chi per lui, si sentirebbe d’ora in poi legittimato ad impedire alle donne di casa pure di andare al mercato o alla posta.

(vignetta di Maurizio Riotta)

2 commenti su questo articolo:

  1. F.V. scrive:

    Sì, come tu dici, questo è un tema che crea reazioni contrastanti, come tutti i temi che “nascondono” significati che sfuggono alla sola lettura sociologica. Dunque non mi sento di esprimere un giudizio, ma ciò che posso dire, perchè mi consta, è che i bambini e le bambine occidentali non si spaventano proprio di” ’sto tabarrano”; sono ben altre le cose che fanno loro paura; anzi ho potuto osservare che restano affascinati dalla donna che si nasconde dietro le mani, la voce e le movenze manifeste, rispettandone la differenza e il.. “segreto ” ( così si è espresso un bambino di 6 anni guardando ammirato una ragazza con il burka in un quartiere difficile di Palermo )

  2. giovanna s. scrive:

    L’articolo mi piace, è attuale. anche io non so quale posizione prendere. ma se rifletto penso che il burka esprime una condizione di sottomissione della donna, vuoi per motivi religiosi, vuoi perchè l’uomo la considera proprietà privata; girala come vuoi sempre pessima condizione è. se gli uomini tenessero il burka come le donne non saremmo qui a discutere, ma il corpo della donna coperto per una legge fatta dai maschi è un segno preoccupante di come vanno le cose in quei paesi. gli uomini tra l’altro possono avere più donne o più mogli, la donna è obbligata ad avere un uomo solo pena la lapidazione o il carcere. vogliamo dire che burka è bello? no, secondo me no, non è una scelta, ma un’imposizione. nessuna donna è libera in quei paesi, sono costrette non solo ad indossare il burka ma a vivere condizioni di vita umilianti per ogni essere umano.

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