qui Caltanissetta, in fila per il sultano

20 aprile 2011 di: Marcella Geraci

Una vera passione per le gerarchie del mondo arabo pervade la classe dirigente di centro destra, dal premier fino agli esponenti dei governi locali. Una passione che si accompagna alla diffidenza verso i figli più poveri di quei paesi della Lega araba oggi attraversati da violenti conflitti, in nome di una democrazia ancora da costruire.

E’ di scena la proiezione dei rispettivi schemi culturali sul diverso da sé, e nell’immaginario del nostro cattolicissimo paese il denaro ha un immenso valore, soprattutto in tempi di crisi. La condizione economica agiata e le ipotesi di investimento sui nostri stanchi contesti locali hanno quindi un peso, mentre le migliaia di uomini, donne e bambini, approdati a Lampedusa alla ricerca di una vita migliore, ne hanno un altro. L’accoglienza che può ricevere un sultano è allora ben diversa dal trattamento riservato ad un migrante. Già, un sultano. Se 314 parlamentari hanno ritenuto possibile che Silvio Berlusconi vedesse in Ruby la nipote di Mubarak, non c’è da meravigliarsi di nulla. Neanche della bufala accaduta al Comune di Caltanissetta, che ha procurato un tapiro d’oro di Striscia la notizia al sindaco Michele Campisi.

Nei giorni scorsi, una nota diffusa dal Comune aveva fatto credere che il sultano di Abu Dhabi dovesse arrivare a Caltanissetta. Il Comune aveva preparato tutto in pompa magna: agenti della Polizia municipale in alta uniforme, rinfresco, palazzi storici tirati a lucido e sindaco con tanto di fascia. Ma quando l’ingegnere Al Zaabi, imprenditore nel settore della plastica, si è recato al Comune indossando un giubbotto e senza uno staff al seguito, le autorità hanno scoperto, nell’imbarazzo generale, che l’ingegnere è “Sultan” solo di nome.

E’ il caso di aggiungere altro?

6 commenti su questo articolo:

  1. non è il caso di aggiungere altro. siamo alla deriva, il tuo articolo è pungente, mi piace il modo in cui descrivi e metti in evidenza la bassezza cui si è arrivati; si pensava di averla già raggiunta, ma la misura non è mai colma. di false identità e di millantatori siamo pieni. richiederei la camicia di forza e l’internamento nei manicomi criminali per questa gente…ma non basterebbe e i manicomi sono stato chiusi. speriamo che le prossime elezioni spazzino via le erbacce.

  2. Maruzza scrive:

    Non avrei mai pensato che a caltanissetta potesse succedere tutto questo. E’ “consolante” sapere che il berlusconismo si è annidato fino a questo punto.

  3. Loredana N. scrive:

    Ho l’impressione che con questa confusione l’italia diventerà un sultanato, o già lo è? Il sultano l’abbiamo e la folla plaudente pure. Cosa manca per completare la commedia?

  4. ornella papitto scrive:

    Grazie a Mariella Geraci, per aver messo in evidenza semplicemente “l’ignoranza”. Non la “malattia mentale” che può sfociare in un crimine da ospedale psichiatrico giudiziario!!!
    Cara Raffaella, non confondiamo anche noi l’ignoranza con la malattia mentale.
    Lavoro da 19 anni in un Centro di Salute Mentale, in un paese in periferia di Palermo.
    Grazie al grande Franco Basaglia, i manicomi sono stati chiusi. Guai a riaprirli. Sono luoghi dove non esiste nessuna forma di umanità. La dignità della persona viene totalmente abolita.
    Ti posso assicurare che i danni seri non li compiono i malati, loro sono spesso “vittime” dei sani, questi si fortemente pericolosi e insidiosi per la salute psichica di tanti soggetti.
    Per il Sindaco di Caltanissetta non bisogna reclamare la camicia di forza, basta semplicemente non rinnovargli il mandato.
    La figura che ha fatto, quella sì che basta da sola ad evidenziare la superficialità e l’ignoranza delle sue azioni.
    Con rispetto,

  5. Lucilla Blaschi scrive:

    Raffaela ha esagerato nel dire che vorrebbe chiudere questa gente nei manicomi criminali. E’ stata un’esasperazione nei termini perché l’indignazione per quanto accade, spinge a dire cose assurde in sé. Ieri ho sentito alla TV la mamma della povera Elisa Claps rivolgersi all’assassino e stupratore della figlia chiedendo per lui una morte lenta, anzi lei stessa si proponeva come torturatrice asserendo che avrebbe appeso al muro l’assassino e poi ogni giorno gli avrebbe tagliato un dito o altro. Una cosa orribile da non giustificare certamente. Da capire, tuttavia, perché la disperazione di quella madre non ha eguali e sono certa che non farebbe mai quello che con le parole riesce a dire.

  6. Marcella Geraci scrive:

    Grazie a voi per i commenti. Non credo però sia il caso di tirare in ballo la malattia mentale, col suo carico di sofferenze e lo stigma al quale è solitamente soggetta. Credo invece che il “caso Sultan” sia stato un fatto di estrema superficialità per l’avere scambiato la forma (il cognome) con la sostanza (la condizione dell’uomo che porta questo cognome).

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