tutte le figlie del mondo

28 giugno 2011 di: Rossella Caleca

«Hai mai sistemato una bambina?» si sente chiedere la giornalista Xinran da una giovane contadina, in un remoto villaggio cinese. Xinran sul momento non capisce, ma, non molto tempo dopo, in un altro villaggio, vedrà coi suoi occhi cosa vuol dire “sistemare” una bambina: accorgendosi che, nella stessa casa dov’è ospite, una donna ha appena partorito, e la neonata è stata gettata, ancora viva, in un secchio d’acqua sporca. Vuole salvarla, denunciare, fermare l’orrore: gli stessi poliziotti – che hanno visto tutto – le impediscono di agire. «Non puoi capire: qui le cose si fanno diversamente». Questa è una delle sconvolgenti storie narrate nel libro Le figlie perdute della Cina che getta luce sulle scomode verità dell’infanticidio e dell’abbandono delle bambine, ancora oggi in quel paese largamente praticati, nell’ordine di centinaia di migliaia di casi solo negli ultimi anni. Credenze e superstizioni arcaiche, un millenario sistema di distribuzione delle terre che esclude le figlie femmine, povertà e isolamento, nonché la politica del figlio unico imposta dal governo della Repubblica popolare cinese, rendono difficile estirpare queste pratiche: solo la diffusa adozione di bambine abbandonate da parte di famiglie occidentali ha potuto salvarne molte, togliendole da orfanotrofi la cui gestione spesso è tale da poterli definire centri per l’infanticidio dilazionato.

Anche in India, la più popolosa democrazia del mondo, esiste uno squilibrio anagrafico tra maschi e femmine: ma lì va più di moda l’aborto selettivo, per non parlare dei suicidi indotti nelle giovani spose dalla famiglia del marito, se i loro padri non riescono a pagare la dote pattuita. Ed ancora esistono, nell’India del sud, le “devadasi”, prostitute sacre dei templi: in realtà schiave, vendute bambine ai sacerdoti dalle loro famiglie.

Ma anche nelle civiltà greca e romana, della cui eredità l’occidente è orgoglioso, erano largamente diffusi schiavitù, pedofilia e infanticidio: quest’ultimo riguardava soprattutto le femmine, e i maschi malformati o disabili; nella civile Atene le bambine venivano “impentolate” cioè esposte in pentole di coccio agli angoli delle strade; e se qualcuno le raccoglieva, era per farne schiave. Furono le tre religioni monoteiste, ostili alle donne per altri versi, a condannare severamente l’infanticidio, contribuendo a renderlo culturalmente inaccettabile nei paesi in cui si diffusero. Forse è utile ricordare che il lungo percorso delle donne verso l’emancipazione e le pari opportunità è cominciato ovunque dalla lotta per la pura sopravvivenza, per il diritto alla vita di ogni bambina.

Ma oggi, perché grandi nazioni con antiche e raffinate culture, in cui sono sorte complesse filosofie che hanno influenzato anche il pensiero occidentale, potenze economiche di prima grandezza nell’era della globalizzazione, non riescono ancora a cancellare comportamenti che si rifanno a norme arcaiche, nate per stabilire il potere dei forti sui deboli, la subordinazione delle donne agli uomini, l’eliminazione dei diversi? Noi, donne nonostante tutto “fortunate”, non possiamo ignorare questa domanda, né proseguire nel nostro cammino senza “vedere” e sostenere le altre donne nel mondo; perché ciò che vogliamo e speriamo per noi e le nostre figlie possano volerlo e sperarlo tutte.

3 commenti su questo articolo:

  1. ottimo articolo, merita un lungo dibattito ed uno studio approfondito su dove è andata fin ora la donna e dove andrà domani

  2. ornella papitto scrive:

    Coraggio, questa è la parola che mi viene subito in mente. Ma quanto coraggio dobbiamo ancora avere per poter sopportare tali ingiustizie? Da dove iniziare? Siamo ancora cose, oggetti dei quali doversene disfare, perché ingombranti, inutili e costosi. Uccidono, mortificano, si accaniscono su corpicini inermi. Può dipendere solo da una ragione economica? Da ragioni culturali? Non credo. Credo che la motivazione sia ancora più profonda. Sia dentro ogni donna. E’ un disvalore che ci appartiene, tutte. Di tutto il mondo. Come fossimo dei contenitori dei quali si può anche fare a meno, in cui il contenuto, ossia il nostro valore, ci viene assegnato dal maschio e non dalle nostre madri, dimezzate anche loro, solo perché partoriscono femmine. E’ lì, la nostra fragilità, quando ci facciamo assegnare dal padre il nostro valore e quando le madri non ci difendono, i padri aggrediscono più facilmente. Le madri dovrebbero difendere, più animalisticamente, la propria specie femminile. Quando inizierà? Quando torneremo alle origini?

  3. luisa scrive:

    Il cammino della donna è duro ma cosa era negli anni passati? allora perchè non sperare nel futuro? Continuare le lotte e le denunzie è il meno che possiamo fare

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