omaggio a Roland Petit

28 luglio 2011 di: Daria D’Angelo

L’11 Luglio, con una leucemia fulminante se n’è andato, dopo appena quattro giorni di ricovero in un ospedale di Ginevra, Roland Petit. Aveva 87 anni ed è stato certamente uno dei coreografi più conosciuti, amati e acclamati della danza di questo secolo, un artista che si è distinto per impegno intellettuale e joie de vivre. Vero protagonista della scena intellettuale e artistica francese del secondo 900, la sua vita è stata una collana di leggende e mitologie. Il padre gestore di una brasserie alle Halles, la madre di origine italiana che realizzava scarpette per la danza. Provocatore nel senso più nobile del termine, insieme all’inseparabile compagna Zizi nel 1949 fece arrossire il pubblico di Londra nella scandalosa (allora) Carmen, balletto ad alta tensione erotica: mai si era vista una ballerina a letto con il partner.

Ciò che colpisce ancora è la modernità di quell’idea di donna emancipata in guêpière e caschetto corvino, modellata sulle gambe superbe di Zizi. Petit riuscì a plasmare la donna nella danza, la rese seducente, astuta e padrona del destino. Con lui Carla Fracci diventò l’amante del gigolò Cheri, interpretato da un ventenne Massimo Murru. Dietro le quinte, Petit spingeva i ballerini a confrontarsi con i propri tabù per renderli veri e pulsanti in scena (l’hanno raccontato Luciana Savignano ed Eleonora Abbagnato), così come nelle sue creazioni sapeva demolire la noia, l’ovvio. Molto attento alle mode e ai gusti della gente, benché alla Scala nel 2008 avesse affermato: «Del pubblico non mi importa niente, faccio quello che sento», il suo Pink Floyd Ballet, creato negli anni settanta, ha reso rock il balletto preparando la strada a spettacoli impensabili.

Senza di lui la danza classica sarebbe oggi più polverosa e seria, meno coraggiosa di aprirsi al nuovo. Con la sua scomparsa, a distanza di quasi quattro anni dalla morte di Maurice Béjart, si chiude un’epoca d’oro che ha traghettato la danza, attraverso il coraggio e l’originalità, dalle incertezze del dopoguerra alla contemporaneità.

(Roland Petit e Zizi Jeanmaire nel 1949)

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