La primavera nascosta di Teheran

26 ottobre 2011 di: VANNA VANNUCCINI

Viaggio nella rivoluzione senza voce

TEHERAN è diventata una città muta, da rumorosa e assordante che era. Nei taxi collettivi, termometro affidabile degli umori dei cittadini, la gente tace. Dalle automobili non esce più musica a tutto volume, e dalle case quella delle band iraniane che mischiano rock e musica tradizionale. “Questo silenzio non è il risultato dei divieti. È che tutti sono troppo depressi per aver voglia di sentir musica” dice Soheila, un’amica.

I divieti non hanno cambiato le abitudini. Le ragazze continuano ad andare in giro nelle loro giacchettine attillate, strette quest’anno dalle cinture, e i ragazzi esibiscono pettinature tutte gel e ciuffi ritti sulla testa. Le parabole, che permettono l’ascolto delle tv estere, vengono confiscate e subito dopo ricomprate.

Davanti ai consolati occidentali – che fanno in modo di non rendere le file troppo visibili – ci sono fin dalla mattina presto studenti in attesa di visto. Ai corsi d’italiano per adulti, nella scuola italiana di Teheran, studiano circa 2000 studenti. Amore per la lingua italiana? Anche. Ma soprattutto la speranza di un visto per l’Italia, dove possibilmente rimanere  o da dove proseguire per altre destinazioni.

L’Iran è il paese con il più massiccio esodo di cervelli al mondo. Ogni anno quasi 300.000 giovani laureati se ne vanno. Il tasso ufficiale di disoccupazione è del 16, ma quello reale secondo gli economisti del 30 per cento.
L’altra ragione del silenzio, sottolinea Soheila, è che tutti sono affannati a far quadrare i conti, pagare le bollette, le tasse scolastiche.

Dalle montagne dell’Alborz arrivai un venticello autunnale. L’estate ormai è finita ma la primavera non c’è stata. Quella politica, che molti aspettavano, dopo Tunisi, il Cairo, la Libia. Ma a Teheran tutto è tranquillo. Le prigioni sono piene. Il numero delle esecuzioni ha raggiunto livelli record. I leader dell’opposizione sono agli arresti domiciliari. Qualche protesta, raramente, si leva negli stadi, il solo luogo dove masse di giovani possano raccogliersi senza insospettire le autorità: la più recente, contro il prosciugamento del grande lago salato Orumiyeh, provocato dalla costruzione di dighe inutili, costruite perché qualcuno voleva guadagnarci sopra.

“Il mio è il governo meno corrotto che l’Iran abbia avuto” si è vantato Ahmadinejad a New York. Ma non aveva fatto in tempo a dirlo che i suoi nemici (ne ha sempre di più numerosi tra i conservatori che l’avevano appoggiato alle elezioni) hanno portato alla luce lo scandalo finanziario più clamoroso della storia della Repubblica islamica: una frode bancaria di quasi 3 miliardi di dollari, pari all’uno per cento del prodotto interno lordo.

(…) da Larepubblica 14-10-2011

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