Vale la pena ascoltare ancora le voci degli autori antichi?

31 luglio 2012 di: Teodora Pottino

Sono molti gli autori del mondo classico che hanno da sempre creduto nella possibilità di insegnare la virtù. Alcuni di loro, difatti, consideravano la virtù un atteggiamento coerente della mente, nato e nutrito da un costante intuito della natura e del significato della vita umana, ritenendo che potesse essere insegnato attraverso il dialogo e la potenza espressiva delle parole.  Una potenza espressiva che oggi si manifesta all’uomo contemporaneo attraverso l’invito all’ascolto dell’insegnamento degli antichi. Quest’invito non ha alcuna pretesa di imposizione, non chiede di essere ricevuto come dovuto e necessario, né risponde alla nostra idea di intrattenimento, la cui soddisfazione sembra essere diventata ormai un’esigenza. Si propone piuttosto come un dono e l’economia del dono è molto più importante e radicata rispetto ad un’economia di scambio. La domanda da porsi è da chi ci è offerto realmente questo dono.  Da uno straniero, si potrebbe rispondere, da uno straniero proveniente da epoche passate cui decidiamo di dare la nostra ospitalità prestandoci ad ascoltarlo. Compiamo così un gesto di civiltà da cui ci deriva una grande ricchezza, e questo proprio grazie alla diversità dell’insegnamento che ci è proposto. E’ un gesto di civiltà compiuto non solo nei confronti del poeta antico, che si è sforzato di diventare contemporaneo dei suoi discendenti senza sfuggire alla responsabilità di essere padre e maestro, ma è un gesto di civiltà anche nei confronti di noi stessi, che mai come oggi manchiamo di una cura anime. La scrittura per gli antichi è esercizio etico, impegno a vivere bene, a ritrovare quella passione e intensità nel vivere che ormai nella nostra attualità sono quasi del tutto soffocato negli automatismi delle azioni che compiamo. Non sappiamo più cosa sia “il culto della misura” o il “fascino della follia” e proprio per questo penso che dovremmo accogliere il dono che gli antichi ci offrono per ricostruire un senso di vita

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