mogli maltrattate e consenzienti

6 agosto 2012 di: Anna Trapani

«Questa mattina mio marito mi ha dato uno schiaffo, ma ci stava tutto, aveva ragione per quello che gli ho detto io». Così alcuni anni fa una donna di 56 anni diceva durante una discussione con un piccolo gruppo di donne di cui facevo parte. Sul principio, stordite da quello che avevamo sentito, nessuna riuscì a formulare un pensiero migliore di quello di chiedere cosa gli avesse detto. Si era permessa di dire che quel giorno si stava vestendo meglio, perché era sicuro di incontrare la sua amante. Curnuta, vastuniata, eppure solidale con il marito! Alle nostre veementi risposte continuava a dire convinta che noi avevamo torto e che suo marito l’amava; le aveva anche regalato due pappagallini! Quello schiaffo non era né il primo né l’ultimo di una lunga serie.

Come questa donna, tante. E mi domando ancora perché ai primi maltrattamenti non vadano via, lontano dai loro aguzzini. Mariti, compagni che picchiano, maltrattano le donne e le umiliano anche psicologicamente. Pensavo dapprima che la differenza la facesse il grado di cultura o di istruzione della donna come quella del mio esempio, persona di nessuna istruzione e senza mezzi intellettuali per agire uscendo da una inerte sopportazione. Non credo però sia così semplice, perché la cultura più o meno elevata e i mezzi intellettuali poco incidono sui processi emotivi. Ricordo a questo proposito un film rivelatore in questo campo come “Racconti da Stoccolma” dove si vede che una donna può essere autonoma e affermata nel proprio lavoro, però non riesce a uscire dal gorgo dei maltrattamenti che le infligge il marito fino al riscatto finale. Nella realtà è proprio questo che troppo spesso manca, pur essendoci i mezzi per dire addio alle umiliazioni come numeri telefonici per l’ascolto e l’aiuto e case protette dove rifarsi una vita.

Spesso credo che quando ci siano figli, molte madri si astengano dal prendere provvedimenti definitivi per non levare il padre ai figli spettatori, però di uno spettacolo che non potrà creare in loro una figura paterna consona al suo ruolo. Mi viene in mente il caso di quella donna di Trapani che era arrivata al punto di accettare la convivenza con l’amante del marito, da cui aspettava il quarto figlio ed era al nono mese di gravidanza. Con l’amante in casa faceva ancora sesso con il marito, che così si divideva sotto il tetto coniugale tra le due fino all’epilogo tragico che conosciamo. Il grado di civiltà di un paese si vede da come vengono trattati donne, vecchi e bambini. Da questo punto di vista l’Italia è ancora molto indietro.

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