morire in un campo di pomodori

29 luglio 2015 di: Marcella Geraci

Il sole di fine luglio non è uguale per tutti. C’è chi lo prende in costume, seduto in riva al mare, chi lo scansa dentro pareti domestiche fresche di condizionatore. Sotto il sole di luglio c’è anche chi muore, sfruttato e lontano dagli affetti più cari. Si chiamava Abdullah Mohammed, il sudanese di 47 anni che ha lasciato la vita nelle campagne di Lecce, tra  Nardò e Avetrana. L’uomo viveva a Caltanissetta con la moglie e due figli ed era andato a Lecce per prendere parte alla raccolta dei pomodori. Venticinque euro al giorno per dodici ore di lavoro continuo, un modo onesto per sbarcare il lunario e pagare l’affitto, per andare avanti senza rubare.

Ma lavorare duro sotto il sole cocente può voler dire accasciarsi a terra e non tornare in quella casa per la quale si è sostenuto un sacrificio molto più grande delle proprie forze. Chissà chi mangerà i pomodori raccolti da Mohammed, magari qualche razzista che non vuole neri dove abita, convinto che vengano a rubare il lavoro e le poche risorse agli autoctoni. Oppure li mangerà una bambina, cresciuta in un’Italia nuova, colorata, multiculturale, o una signora anziana, forse un migrante. O, perchè no? uno sfruttatore di immigrati. Perché Mohammed raccoglieva pomodori per tutti, senza contratto di lavoro e sotto un sole rovente, per lui ancora più caldo che per gli altri.

Uno sfruttamento tutto italiano, sostenuto da quella zona grigia che non passa mai di moda tra i più deboli, lo ha condotto allo stremo delle forze e ha interrotto il suo “cammino della speranza”. Venuto in Italia in cerca di una vita più bella, Mohammed ha invece trovato la morte, come purtroppo accadeva e accade ancora oggi a tante persone migranti. Come è accaduto a noi italiani in diversi periodi della nostra storia, per costruire un Paese oggi  impoverito dalla fuga dei giovani più preparati e colti nelle capitali dell’Europa e del mondo.

Nel 1961, per fare fronte alla fuga di milioni di tedeschi dall’Est socialista alla Germania dell’Ovest, venne costruito il muro che cadde nel 1989, anche sotto la pressione del desiderio di un mondo più libero. Ma l’evento che ha segnato la fine della Guerra Fredda  non ci ha risparmiato l’edificazione di nuovi confini fra ricchi e diseredati, i blocchi militari a Ventimiglia, il muro tra Ungheria e Serbia, il naufragio del pezzo migliore dell’Africa, lo sfruttamento bestiale nelle campagne. Il mondo oggi reso ancora più triste e vuoto dalla morte di Abdullah Mohammed.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement