il benessere che si sposa con la nevrosi

24 settembre 2015 di: Ornella Papitto

Sto notando quanto la presenza di tratti nevrotici sia presente, soprattutto, nelle società opulente. Maggiore è il benessere e maggiore è il timore di perdere la stabilità economica, non quella affettiva, quella è andata in terzo o quarto piano o giù di lì. Ma ciò che destabilizza il pensiero è il timore del cambiamento che non è più considerato miglioramento, ma peggioramento delle condizioni iniziali.

I nevrotici temono il cambiamento più di ogni altra cosa ma lo pretendono solo dagli altri. Sono gli altri a dover cambiare, non loro. Loro sono nel giusto e “soffrono” per le azioni degli altri che sono sbagliati, e non loro. Un nevrotico deve avere sempre gli stessi “punti di riferimento”, guai a spostarli di un centimetro.

Si aggrappa agli altri ma è convinto che siano gli altri ad aggrapparsi a lui. Pretende sempre di avere ragione e che le sue ragioni diventino le ragioni per gli altri. Assume un’aria di obiettività da “Santone” o da “Guru” e nulla è più discutibile. Nessun dubbio deve procedere sulla strada di chi beneficia dei suoi servigi.

Ah! Questo è il mio “ritratto”.

I poveri, quelli veri, quelli che combattono ogni giorno per sopravvivere, quelli non si possono né permettere e né consentire economicamente di farsi sommergere dalle nevrosi. Quelli il cambiamento lo cercano e loro desiderano che il cambiamento sia miglioramento delle condizioni di vita per loro e per la loro famiglia.

Loro non sono nevrotici, perché il cambiamento non lo temono e sono disposti anche al peggioramento pur di sottrarsi alla violenza e alla prepotenza di chi li vuole sottomettere.

In questa realtà di “richiedenti asilo” e di gravi sofferenze fisiche e psichiche, di mutilazioni fisiche e familiari, la mia nevrosi mi è insopportabile perché mi costringe a temere un impoverimento economico e quindi il riferimento per eccellenza delle società opulente.

Questo timore mi rende più povera dei poveri che stanno richiedendo asilo.

La loro è povertà. La mia è miseria.

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