l’importanza delle parole

28 dicembre 2015 di: Marina Gasperini

I media hanno finito per imporre nel linguaggio comune termini anglosassoni mal pronunciati, nonché neoligismi inutili. Per esempio, non si parla di problemi, ma di criticità. Sorge legittimo il dubbio che tali prodezze linguistiche servano a nascondere la superficialità, se non la parzialità delle informazioni, e soprattutto l’assenza di un’analisi rigorosa degli avvenimenti.

Un termine in particolare risulta particolarmente odioso, quello che defnisce la scelta del fanatismo terrorista come una «radicalizzazione» del pensiero, dando a certi individui una dignità che non meritano, perché il loro percorso è esattamente il contrario di ciò che il termine significa.

Mi permetto di citare un riflessione di Hannah Arendt, dal suo La banalità del male.

E’ anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo esterno; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. E’ una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.

3 commenti su questo articolo:

  1. alessio scrive:

    il male è ciò che è contrario alla virtù, all’amore del bene, perseguito come fine a se stesso, senza nessuna concezione utilitaristica alla giustizia, intesa come rispetto dei diritti altrui, alla rettitudine, intesa come coerenza ai principi morali
    parole tante parole….non si può più ascoltare un telegiornale

  2. carlo scrive:

    Er Pappagallo, tutto soddisfatto
    magna un biscotto silenziosamente.
    — Perché nun parli mai? —je chiede un Gatto —
    Com’è che nun t’insegneno a di’ gnente?
    S’io fossi quer che sei
    quarche parola me l’imparerei. —
    Er Pappagallo cór ciuffetto dritto
    spalanca l’ale e se le sgrulla ar sole;
    poi dice ar Gatto: — Più che le parole,
    ho imparato a sta’ zitto.
    È inutile che insisti. Addio, Miciotto! —
    E se rimette a rosicà er biscotto.
    TRILUSSA

  3. marina scrive:

    Che piacere per me, romana espatriata a Ginevra, leggere una poesia di Trilussa come commento del mio piccolo testo.
    Grazie Carlo.

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