Le parole e il senso perduto dal “Corriere della Sera” del 10.12.15

10 dicembre 2015 di: Michele Ainis

Un altro anno se ne va, con il suo carico d’affanni. E di parole: troppe, vocianti in ogni dove, discordi come le note strimpellate da un bambino. Ecco, le parole. Ne riconosciamo il suono, ma non ne comprendiamo più il significato. A forza d’abusarne, le abbiamo logorate. Laicità, democrazia, riforme: quali informazioni, quali concetti ci trasmettono? Credevamo di saperlo, non ne siamo più tanto sicuri. O forse sarà perché il mondo cambia in fretta, mentre da parte nostra non troviamo le parole nuove per descriverlo. La guerra, per esempio. È un’esperienza bellica quella che stiamo attraversando? Nessuno Stato ha convocato i nostri ambasciatori per dichiararci guerra. Là fuori non c’è un esercito nemico, con la sua divisa blu. Non esiste nemmeno una linea del fronte, eppure da qualche tempo ci sentiamo tutti al fronte. E sacrifichiamo una per una le nostre libertà, per guadagnarne maggiore sicurezza. Lo facciamo in difesa dei nostri valori, nel momento esatto in cui li stiamo ricusando. Come soldati della democrazia, altra parola ormai divenuta incerta. Perché qui attorno chiunque si proclama democratico, i politici, gli intellettuali, i nonni, le zie. Ma se tutti sono democratici, nessuno è democratico. L’identità si ritaglia in opposizione all’altro, così come il popolo italiano si distingue dal popolo russo o americano. Nel febbraio 2007 il manifesto fondativo del Pd esordiva con questa frasetta: «Noi, i democratici, amiamo l’Italia». Sarebbe possibile volgerla al contrario? Avrebbe senso scrivere: «Noi, gli antidemocratici, odiamo l’Italia»? No, e allora quella frase non significa più nulla…..

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