Il caso Matei da “La Stampa” del 13.04.16

13 aprile 2016 di: Massimo Gramellini

Doina Matei è la ragazza romena che nell’aprile di nove anni fa uccise la coetanea Vanessa Russo sulla metropolitana di Roma, conficcandole la punta dell’ombrello in un occhio al culmine di un litigio banale su chi aveva spinto chi. Nove anni dopo, già fluttua in semilibertà tra i canali di Venezia e sul suo profilo Facebook posta foto di se stessa sorridente al mare. Nove anni di carcere per un omicidio rappresentano la vergogna del legislatore italiano, anche se mai come i cinque scontati, scontatissimi, dal pugile Alessio Burtone per avere ammazzato con un pugno un’infermiera romena alla stazione Anagnina, sempre a Roma. Oggi però la questione sono le foto di felicità diffuse dall’assassina. Doina Matei ha tutto il diritto di essere contenta, visto che la legge glielo consente. Ma ha diritto di mostrare la sua contentezza al mondo, e quindi anche ai parenti della vittima, attraverso un social network?

Quelle immagini indignano e il moralismo non c’entra. Neanche il desiderio di vendetta. C’entra la sensibilità. C’entra che se ammazzi una persona, dovresti almeno avere il pudore di tenere per te le tue emozioni gioiose, senza ostentarle e tantomeno condividerle con chi patisce ancora le conseguenze del tuo delitto. Chi uccide per futili motivi mostra scarsissima considerazione del prossimo. Nove anni di carcere dopo, Doina Matei continua a infischiarsene degli effetti delle sue azioni. Viene il sospetto che per lei la pena, oltre che breve, sia stata inutile.

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