se questa è una donna

25 maggio 2016 di: Fortunata Pace

“Se questa è una donna” verrebbe da dire rispetto a chi è complice, se non di più a quel che pare, dell’uccisione del proprio figlio, è complice dell’uccisione di una bambina che è stata ripetutamente stuprata, come le sue stesse figlie, dal suo atroce compagno e che risponde alle loro ripetute richieste di aiuto qualcosa come… state buone, poi passa…

Se questa è una donna in mezzo a tante donne, quanto cammino ci resta da compiere, quante battaglie di parità, di forza, di riscatto dovremo giudicare perdute? Perché questo caso è emblematico in tutta la sua violenza: non siamo di fronte alla donna che uccide un figlio, che copre un assassinio o che aiuta un colpevole in una situazione particolare, ma di fronte a chi vive brutalità e degrado, forse sottomissione, forse contagio e supina indifferenza a un MALE da sempre accettato.

Siamo di fronte a ignoranza, inciviltà, emarginazione. Di fronte a un mondo altro che sotto i nostri occhi (spesso fatalmente chiusi) ha spazi suoi e nessuna regola, nessuna capacità di ripensamento, nessun ritegno e nessuna coscienza. Così precipita nel vuoto un bambino che i genitori (direttamente responsabili?) non piangono, così poco dopo una bambina deliziosa, colpevole di una dolce, precoce femminilità, viene carpita dal mostro di turno cui un intero condominio sembra di non aver mai fatto caso!

E allora, mentre si processa questa donna irriconoscibile, questa madre non madre, chissà anch’essa vittima di violenze e stupro familiari che le fanno riconoscere come naturale l’orrido della situazione di cui è protagonista, potremmo dire “se questa è una società”, cioè chiederci come e quanto si possa lavorare per tempo perché una bimba come Fortuna non sia il pesante ricordo di una sconfitta comune, e se almeno serva a qualcosa per quelle due “piccole donne ” degne, loro sì, di essere chiamate tali, due vittime che hanno alzato la testa e trovato modo di sfuggire a un serbatoio di violenze e di infamie infinite. A loro si affida la speranza che non tutto è perduto!

1 commento su questo articolo:

  1. Marina scrive:

    Il male esiste e non è né maschio né femmina. Ascrivere sempre all’uomo dominatore il male commesso da una donna significa ancora una volte negare alla donna ogni capacità di discernimento, anche difronte all’innaccettabilità dell’orrore.
    L’imperativo categorico è, dev’essere dentro di noi, al di là di ogni giustificazione sociologica.

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