la rabbia lo fa blu, il principe azzurro

22 giugno 2016 di: Clara Margani

In uno spettacolo al Teatro Due di Roma, che metteva in scena come i mass media tendono a dare del fenomeno della violenza nei confronti delle donne da parte dei loro partner una visione parziale e fuorviante, alle spalle dell’attrice Marina Senesi, sul fondo del palcoscenico, era situata una gigantografia del volto di un uomo né giovane né vecchio e di una parte del suo busto, che lasciava intuire la presenza del classico abbigliamento da principe azzurro, chiaramente di colore azzurro, la cui faccia stravolta dalla rabbia aveva però una colorazione decisamente bluastra. Il principe azzurro diventato blu risultava essere decisamente molto arrabbiato con la sua principessa e la foto alludeva chiaramente alla carica di rancore, rabbia, impotenza dell’uomo che stava per scaricarsi sulla donna.

Il titolo dello spettacolo era “Doppio taglio” e si basava su una ricerca effettuata da Cristina Gamberi con il Patrocinio delle Pari Opportunità Rai, intitolata ”Come i media raccontano la violenza contro le donne”. Nel suo lavoro l’autrice analizzava non il racconto delle vittima, né quelli dei testimoni e tanto meno dei carnefici, ma i particolari meccanismi sotterranei attraverso i quali il racconto dei media può influenzare la nostra percezione del fatto, trasformando anche la più sincera condanna in un’arma, appunto, a doppio taglio. La studiosa smontando e decodificando l’impianto lessicale e iconografico degli articoli diffusi su stampa e web, esaminava i discorsi, le parole e le immagini utilizzati nel descrivere l’uccisione di una donna per mano del proprio uomo.

Tra i numerosi esempi Gamberi citava l’uccisione dell’attrice Marie Trintignan da parte del compagno, il famoso cantante Bertrand Cantat. In questo caso i mass media avevano messo al centro l’autore della violenza e non la vittima. Su un giornale italiano era comparso un articolo intitolato:  «La morte della Trintignant cancella un mito dei no global. Il cantante era popolarissimo per l’impegno sociale». Per prima cosa c’è da osservare che si parlava della morte dell’attrice e non dell’omicidio perpetrato nei suoi confronti. Nel testo dell’articolo inoltre venivano forniti molti dettagli poco edificanti sulla vita amorosa e privata della vittima: il suo stato psicologico di depressa, «l’amore folle e devastante» che la legava al cantante, dando di lei l’immagine di una “eroina passionale”, quasi che lei stessa fosse in qualche modo colpevole della sua uccisione e responsabile della fine della carriera del suo assassino, che era descritto come un uomo di successo, ricco, impegnato politicamente, dotato di forte personalità e carisma.

La situazione non era migliore quando si passava all’esame del materiale iconografico che accompagnava gli articoli che trattavano di violenza nei confronti delle donne. Nella maggior parte dei casi le foto proposte ritraevano la donna in soggettiva, cioè come se l’aggressore fosse di fronte a lei e chi guardava la foto fosse insieme a lui. Queste foto erano spesso immagini stereotipate, con donne quasi sempre giovani, svestite o seminude, spesso con una sola scarpa o senza scarpe, sdraiate, di sbieco, inginocchiate, con i capelli scarmigliati, che si difendevano spesso con le mani sollevate. Il maschio aggressore non si vedeva mai, era assente, al massimo presente come ombra incombente. Secondo Gamberi questo è la spia di una società che deresponsabilizza gli uomini, come se la violenza contro le donne non riguardasse tutti ma solo le vittime. Le vittime sono viste dalla stessa visuale del loro aggressore e la posizione di coloro che guardano quelle foto, purtroppo, risulta proprio quella dell’aggressore, rispecchia la sua prospettiva della scena, non quella della vittima.

Ben venga dunque la foto del principe blu per la rabbia sulla scena dello spettacolo “Doppio taglio”, che ci restituisce uno sguardo corretto nei confronti di questo fenomeno. Stiamo guardando l’aggressore nel momento in cui sta progettando o perpetrando la violenza, il nostro punto di vista è quello della vittima e, per fortuna senza soccombere, lo inchiodiamo alle sue responsabilità e a una condanna senza attenuanti.

1 commento su questo articolo:

  1. Gabriella scrive:

    Troppo forte quell’idea del principe azzurro diventato blu, ma è proprio così che si trasformano gli uomini in carnefici delle proprie donne.

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