indignarsi ancora

14 gennaio 2017 di: Silvana Fernandez

Nei vecchi contratti marinari del porto di Genova, si trovava una clausola che prevedeva per il marinaio il diritto al “mugugno”. In breve, chi firmava un contrato senza questo diritto a brontolare, avrebbe avuto una paga più alta. Chi, invece, lo sottoscriveva con la clausola del mugugno aveva meno soldi, ma la possibilità di portare, davanti al capitano, le rimostranze su tutte quelle cose che non andavano bene a bordo e discuterne con lui.

Era un primo accenno di sindacato? Noi Italiani eravamo famosi per essere un popolo pronto a deplorare, esecrare, disapprovare, dunque alla possibilità di fieramente indignarci e sembravamo d’accordo che l’indignazione fosse un movimento mentale elaborato e composto. E ora? Sembra che non solo abbiamo perso voglia di qualsiasi genere di sdegno, ma che forse dai portuali genovesi l’unica cosa che abbiamo fatta nostra è proprio il mugugno.

Nello stesso periodo in cui cominciammo a non indignarci più, trovammo il piacere di borbottare, appunto mugugnare. Anche se si urla tanto nelle piazze televisive, solo il tono di voce è al rialzo ma la realtà è un parlottìo, un pettegolezzo che pullula. L’italiano è un individuo che si fa riconoscere per il suo lamentarsi a voce alta: se un tizio in un ristorante deve far sapere a tutti che il conto gli sembra eccessivo, state certi, è un italiano. Ebbene, se il nostro connazionale crede in quel momento di sollevarsi dalla massa per aver manifestato la propria indignazione, ebbene si sbaglia, ha solo mugugnato a voce alta perché non ha mostrato nessuna indignazione ma tutta la sua maleducazione. Perché l’indignazione non è nell’urlo, ma nel contenuto. La nostra società è formata da chi ha sostituito allo sdegno un garantismo fasullo che tende ad assolvere qualunque assassino, offrendogli molte attenuanti. In questa catena senza fine in cui si cerca la giustificazione alla colpa, piuttosto che il colpevole, i femminicidi aumentano, mentre le denunzie di stalking vengono troppo spesso accantonate.

Certo il garantismo è una tappa importante nel nostro diritto penale, ma, insieme ad esso, dovrebbero andare avanti anche la prevenzione, l’istruzione e soprattutto l’obiettività. Non solo non ci sono prove ma non c’è neanche una condanna certa, vi è solo il perdurare del ciarlare, chiacchierare fra innocentisti e colpevolisti e chi è più bravo, vince. Eppure basterebbe ritrovare la possibilità di urlare chiaro un sì o un no. Basterebbe dunque ritrovare la possibilità di sdegnarsi, non capendo che, perdendo l’indignazione, abbiamo perduto uno dei concetti più importanti della nostra storia del pensiero che non è la protesta becera, ma qualcosa di ben strutturato nella mente.

Qualcosa che allontana quello che per te può essere il male, avvicinandoci al bene soggettivo o globale. Qualcosa che ti identifica con ciò che per me è vero o falso, qualcosa che ti avvicina alla ricerca della verità dibattendo, negando, affermando con parole proprie e non servendosi del coro muto della Butterfly.

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