il giorno dei morti in tempo di guerra

2 novembre 2017 di: Rosanna Pirajno

In tempi di guerra si pativa la fame, ma non era per questo che la Festa dei morti si svolgeva, per noi bambini, nel segno di una estrema morigeratezza. Erano diversi i tempi, si era morigerati per costume, si costruiva tutto a mano e si faceva tutto in casa, il pane e la pasta, i biscotti e i dolci, le pupe di pezza e i soldatini, non si sprecava nulla e si rispettavano le tradizioni.

In tempi di guerra, con i miei fratelli e una cugina ho abitato con la nonna nel paesino dove sono nata, i bombardamenti non ci toccavano direttamente ma si andava in processione per scongiurare che le flotte aeree sbagliassero rotta, il cibo scarseggiava ma non avevamo tessere annonarie, si campava di quel poco che produceva la campagna con i contadini al fronte, le scarpe si risuolavano e i cappotti si rivoltavano, le donne di casa filavano la lana di pecora con la quale lavoravano maglie ruvide come carta vetrata, ripararsi dal freddo comportava arrossamenti e pruriti e grattamenti in tutto il corpo.

Nonostante tutto, le feste si rispettavano. I morti portavano regali ai bambini come da tradizione centenaria, ed erano regali in tono con i tempi. A ciascun nipote la nonna, in nome e per conto del nonno e della loro figlia morta di tisi appena diciottenne, riservava una sorpresa da cercare in un nascondiglio segreto, i nostri morti erano affettuosi e giocherelloni come si conviene a dei parenti stretti nella giornata ad essi dedicata.

La sorpresa consisteva in un cestino ricolmo di dolcetti casalinghi, i “cosi chini” ancora oggi in uso, frutta secca con carrube, fichi e castagne, torroncini e cannellicchi, una bambola di pezza per le bambine e un giocattolo in legno o metallo per i maschi. Niente frutta di martorana e neppure puppaccene, erano cose da città quelle. Di quelle piccole cose ho infinita nostalgia, come del camioncino di legno dipinto di rosso che mio padre costruì, in altra occasione, per mio fratello ragazzino e che mia madre non ebbe cura di conservare.

Sarà la vecchiaia, ma mi è venuta voglia di ricordare il poco che ci rallegrava nel giorno triste-allegro dei morti di famiglia, quando la guerra produceva morti e lutti e dolore e distruzione e disperazione, ininterrottamente. Così, come monito.

 

3 commenti su questo articolo:

  1. gemma scrive:

    Oggi 2 novembre, commemorazione dei defunti…molto bello questo articolo pieno di nostalgia e di buon senso
    la modernità ci ha travolti, siamo circondati da superficialità e pressapochismo: i nostri figli festeggiano con travestimenti discutibili una festa di altra origine della quale non conoscono il significato. Forse anche noi, quelli delle precedenti generazioni, abbiamo permesso che ciò accadesse non salvaguardando la nostra cultura e non tramandando le nostre tradizioni. Dolcetto o scherzetto? Ma di che stiamo parlando?

  2. Rita scrive:

    zucca mascherata e spettri sono il triste effetto della colonizzazione culturale.
    resistere, anche in modo pacifico, non è impossibile, se si vuole.

  3. silvia scrive:

    Il ricordo dei nostri cari ed il ricordo che ci è stato trasmesso di coloro che non abbiamo fatto in tempo a conoscere è quel filo che ci lega al nostro passato riannodando i fili delle generazioni. E’ un senso di continuità che fa bene e riscalda il cuore. Morta mia madre, ho raccolto in casa mia varie foto di famiglia dalle quali mi sorridono ancora i nonni ed i bisnonni con le loro famiglie numerose piene di figli. Non di tutti conosco il nome, ma in parte mi riconosco in ognuno di loro

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