Il Sessantotto, l’anno più sciagurato della storia recente da “Il Fatto Quotidiano” del 23.01.18
…Il Sessantotto non fu contro il capitale, ma contro la classe borghese e i suoi valori: etica del limite, autorità, figura del padre, religione della trascendenza, comunità tradizionale. Furono queste determinazioni a essere criticate dai sessantottini ben più del nesso di forza classista e asimmetrico del capitale. E infatti – come estesamente ho mostrato nel mio Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (Bompiani) – ne scaturì non la fine del capitale, ma la fine del mondo borghese: ciò che rafforzò il capitale, ora liberatosi di quei valori (limite, padre, autorità, religione, ecc.) con i quali fino ad allora aveva convissuto e che ora erano divenuti insopportabili ostacoli per il capitale stesso, ancor prima che per i sessantottini.
Il Sessantotto, in quest’ottica, fu il transito dal capitalismo moderno borghese al capitalismo postmoderno e postborghese a consumo illimitato e a mercificazione smisurata. Non esiste l’autorità. Vietato vietare. Godiamo illimitatamente. Ecco i motti antiborghesi del Sessantotto, pienamente attuati nella società capitalistica a libero costume e a libero consumo illimitati. Se ne accorse Pasolini in Italia, Clouscard in Francia.
Il Sessantotto, dunque, come emancipazione non dal, bensì del capitale. Che per tutto trasformare in merce, doveva abbattere ogni autorità e ogni figura del limite ancora sussistenti. Dal Sessantotto derivò non il sol dell’avvenire comunista, ma la società finanziarizzata in cui tutto (uteri e bambini compresi) è merce disponibile, della quale siamo abitatori. Dal Sessantotto, lo sappiamo, l’emancipazione cessa di essere intesa come marxian-gramsciana lotta per l’emancipazione sociale dei subalterni e come leniniana lotta contro l’imperialismo atlantista. Diventa lotta per la liberalizzazione integrale a beneficio dell’individuo ingigantito nietzscheanamente ad atomo a volontà di potenza illimitata.