Il veleno dell’oleandro e “l’ingrediente Sicilia”

6 maggio 2018 di: Giovanna Sciacca

Costretta a una noiosissima immobilità per i postumi di una brutta frattura sto divorando pile di libri, a volte senza andare tanto per il sottile! Sono riuscita perfino ad andare fino in fondo con “Il veleno dell’oleandro” pubblicato Simonetta Agnello Hornby per i tipi della Feltrinelli, nel 2013 ed ancora reperibile nelle librerie.

Una saga familiare che in apertura si prospetta originale e intrigante nella particolare forma diaristica che ci consegna la doppia versione delle due voci narranti di Mara e Bede ma, pagina dopo pagina, finisce con il collocarsi decisamente al di sotto delle aspettative create intorno agli esordi con “La mennulara” e, successivamente, con altri apprezzabili lavori.

Ma, si sa, il percorso di ogni autore non può essere geometricamente lineare. Non è nella natura umana, non lo è stato mai nemmeno per autori di ben altro calibro! Luci e ombre sono destinate inevitabilmente ad avvicendarsi, spiace, semmai, l’ampiezza del divario.

Così nel 2013, anno piuttosto prolifico per la scrittrice, forse fin troppo, per i tipi della Feltrinelli oltre a “Il male che si deve raccontare” con Marina Calloni, escono “Via XX settembre” al cui tedio si è andata a sommare la delusione per questo che risulta uno dei suoi lavori meno riusciti. In questo “il veleno dell’oleandro”, attorno al filo conduttore della vicende familiari dei Carpintieri racchiuse nel microcosmo di Pedrara, fluttua una pletora di personaggi dalla debole caratterizzazione, figure sfocate e poco convincenti adepti di un’ improbabile setta da feulleiton d’altri tempi. Tratteggiati piuttosto sommariamente risultano, in qualche misura, gli stessi protagonisti compreso il bellissimo e controverso Bede, un orientaleggiante mixer di candore e ambigua moralità. E ancora a profusione: complicati passaggi segreti, torbide storie di famiglia, relazioni sentimentali e sessuali contorte e inconfessabili e tanti, troppi altri ingredienti che possono incontrare i gusti di un certo pubblico ma non trasformare un insieme di voci in un coro ben orchestrato. Lo stridore delle ricorrenti forzature per ricondurre tutti quei rivoli al corso della narrazione soffoca, infatti, quella magica empatia che nella buona narrativa lascia, alla fine della lettura, la ben nota sensazione di nostalgia nel distaccarsene. Rimane qui, invece, un senso di alterità da personaggi e situazioni quasi da Fiction.

A reggere le fila dell’ambizioso quanto traballante equilibrio tra presente e passato, rimane, solitario pregio, la consueta se pure a tratti manieristica capacità di rendere suggestivi scorci ed atmosfere di Sicilia con collaudata perizia stilistica.

Pedara diventa così metafora dell’intera Sicilia, isola quasi remota e distante dal resto del mondo, alcova lussureggiante di passioni e misteri, profanata da inesorabili poteri inopinatamente spennellati di torbide tinte esoteriche. In questo, più che in altri precedenti lavori, risulta evidente l’ “ingrediente Sicilia”, vera protagonista di un po’ tutti i suoi scritti e a cui la Hornby deve molta parte del consenso di pubblico, soprattutto tra i chi, amando questa terra, percepisce sullo sfondo delle incantevoli benedizioni che la natura le ha elargito, lo struggente contrasto tra un maestoso passato e un inesorabile sgretolarsi di muri e valori in un presente amaro come il veleno dell’oleandro.

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