Homo homini lupus

16 luglio 2018 di: Sibilla Gambino

La nebbia si dissolve nella mente di tutti. Prima o poi succede.

E come Zeno Cosini scrivo per lasciar parlare la mia coscienza. Potrei farlo sbottando contro le ultime sparate di Salvini, potrei commentare le veemenze di Saviano, che non ho mai amato come personaggio pubblico ma che oggi trova tutto il mio appoggio. Potrei ancora commentare l’articolo apparso su Repubblica domenica 18 luglio dove Camilleri ci rimanda al contadino siciliano che: “cu tutto che sugnu orbo, la viu nivora. ”.

Potrei. Ma l’esca del mio personale amo va più a fondo per pescare nella coscienza, nel vissuto quotidiano, nella possibilità – o capacità – di azzittire l’innato gene del male. Homo homini lupus, da Plauto a Hobbes credo anch’io che la natura dell’uomo sia essenzialmente egoistica e che a determinare le azioni umane siano per lo più l’istinto e la sopravvivenza. E la sopraffazione dell’altro. Del più debole. Parlo di chi è rimasto vittima degli eventi del destino. Non parlo soltanto dei rom, degli immigrati, degli ebrei. Parlo delle donne discriminate nel lavoro con stipendi inferiori a quelli dei loro colleghi con le stesse mansioni, parlo di chi non arriva alla fine del mese, parlo delle persone con sindrome di down, e anche dei figli di quei genitori che si stanno separando. Facile prendersela con i più deboli. Facile fare la voce grossa o strattonare una bimba di sei anni afferrandola per un polso. Facile istigare la moglie ad un litigio e registrare nascostamente le sue parole per farla affogare tra giudici e assistenti sociali e poi andarsene in chiesa.

Quando si è felici, si ha avuto la possibilità di studiare, non si hanno problemi economici, si riesce ad essere “buonisti”. Più difficile è esserlo quando è tutto contro, certo. Ma c’è un limite, c’è un però, e non è certo il banale postulato del: guarda chi sta peggio di te. Il “però” riguarda la nostra coscienza. Le nostre fragilità non valgono come giustificazione. In quanto uomini abbiamo non pochi  strumenti per controllarci e addomesticare intolleranza e brutalità. Aizzare gli animi, fomentare  litigi, scontri e violenze fa a pezzi la possibilità di costruire il futuro.

Trovare soluzioni, punti d’incontro, individuare il male minore, fare il bene della comunità e non del singolo: questa deve essere la sfida. Il mondo è uno e ci accoglie al di là del colore, della provenienza, dello stato sociale, della religione, della lingua o delle diversità ovvie e meno ovvie. I politici, i governanti, gli scrittori, i giornalisti, le madri, i padri, noi tutti, in definitiva, assumiamoci il loro compito di agire per il bene comune.

Rivolgiamo la nostra attenzione solo e soltanto al bimbo indifeso. Quel bimbo che domani sarà adulto e si ritroverà in un mondo che abbiamo voluto avvelenare con l’odio e le discriminazioni. Non condanniamo i nostri figli ad altre guerre, a nuovi Hitler, a nuovi Ceausescu.

 

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