Inghiottiti dal virtuale

12 dicembre 2018 di: Stefania Di Filippo

Nell’ambito informatico il termine virtuale significa tutto ciò che viene “riprodotto mediante tecnologie elettroniche a imitazione di un ambiente o di una situazione reale”, dunque tutto ciò che è simile al reale, ma reale non è. Nella nostra era, però, tutto ciò che viene pubblicato e/o visto sui social diviene realtà, tanto è vero che si viene identificati con ciò che si pubblica, con ciò che si condivide. La piattaforma alla quale ci si espone non è più quella della piazza di paese, ma del mondo e pertanto, tutte quelle “chiacchiere da bar” alle quali si era abituati vengono trasportate su internet, cosicché, dall’altra parte del mondo, un tizio x può sapere se preferisco il caffè amaro o se ho visitato l’Inghilterra per la prima volta. Il risvolto della medaglia, però, è che anche ciò che si vorrebbe tenere nascosto potrebbe essere, per malignità, ingenuità o ritorsione divenire pubblico e, allo stesso modo, una persona può diffamare senza che si possa fare molto. Infatti, una sentenza della Procura di Roma ha dichiarato che insultare sui social qualcuno, non costituisce reato ma è: “modo di sfogarsi o di scaricare lo stress”. Sentenza alla quale la giovane, che aveva mosso le accuse di diffamazione, ha deciso di opporsi, sentenza della quale nessuno si capacita. Negli ultimi anni, infatti, si è parlato di sensibilizzare tutti, ma soprattutto i giovani, sul tema del cyberbullismo, su come ciò che si pubblica e/o afferma sui social possa avere un riscontro nella vita reale, su come può spingere, alcune volte, persino a gesti estremi, la messa alla berlina di un ragazzo di 15 anni come di un adulto un po’ più fragile. Determinati atteggiamenti, anche se appartenenti alla vita privata, hanno distrutto carriere perché sono stati sbandierati ai quattro venti, dunque, si vuole davvero affermare, con questa sentenza, che ognuno di noi è solo? Che non ci si può difendere dalla gogna mediatica che ha rilevanza sulle nostre vite e sulla persona? Si vuole davvero legittimare un comportamento indegno, anche se e solo dietro una tastiera? Sì è tanto parlato delle fake news, degli atteggiamenti di incitamento all’odio, al nudo, alla violenza e cosa hanno di diverso da ciò che ha denunciato questa ragazza, della quale “un amico” aveva affermato che fosse bipolare e che il padre la maltrattasse? La tecnologia ha preso sempre più spazio nelle nostre vite e una sentenza del genere, se fosse riconfermata anche dal Gip potrebbe farle sparire completamente, farci sparire del tutto e non solo dai social.

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