Terremoto, Belìce e Servizio Civile Nazionale

16 gennaio 2019 di: Maria Garimberti

Nell’autunno del 1969 collaboravo con il Centro Studi e Iniziative della Valle del Belìce, guidato da Lorenzo Barbera. Il Centro, che aveva sede a Partanna, era un punto di riferimento per le persone che lottavano per il lavoro, per non emigrare, per lo sviluppo, per la ricostruzione. Era l’inizio del 1970 e le donne ci portavano in sede le bollette della corrente elettrica e dell’acqua: non pagarle era una forma di lotta contro uno stato che non rispettava la legge per la ricostruzione. A febbraio due ragazzi partannesi incontrano Lorenzo: «Giusto è fare il servizio militare a un governo fuorilegge? Non sarebbe meglio che i giovani della Valle del Belice facessero un servizio civile lavorando per la ricostruzione?» «Giusto non è», risponde Lorenzo, «ma ci vuole una forza generale, dobbiamo vedere cosa ne pensano tutti i ragazzi di leva e i loro padri e madri. Se il popolo del Belice sarà d’accordo, il rifiuto del servizio militare avrà la forza di cento scioperi». (Barbera L.). Il rifiuto della leva si estende a tutto il territorio, si fanno assemblee nei paesi della valle, si formano comitati antileva. L’1 giugno Lorenzo e i giovani, organizzati per portare al distretto militare di Palermo le loro richieste – una legge che consenta il servizio civile e revochi le cartoline precetto – vengono ostacolati in tutti i modi: intimidazioni, sequestri di cartelloni, di tende. Bloccati per tre notti dalle Forze dell’Ordine al bivio Pernice, riescono infine a ottenere un incontro col ministro della Difesa Tanassi che si impegna ad accogliere le loro richieste. Il 4 di giugno, tornano nei loro paesi. Inizia una pesante repressione: i ragazzi richiamati vengono prelevati dalle loro abitazioni e mandati ai corpi di appartenenza. Arrivano attacchi di fascisti e mafiosi, Lorenzo e due dei giovani vengono portati al carcere di Marsala. I ragazzi, che risultano disertori, si nascondono nelle baraccopoli, tra loro Vito Accardo, che viene arrestato e tradotto al carcere di Forte Boccea a Roma. Sul territorio la lotta antileva viene isolata, ma a livello nazionale e internazionale cresce la solidarietà: fra gli emigrati siciliani in Svizzera, da parte dei sindacati dei metalmeccanici, FIM e FIOM. La gioventù del Belìce si rifiuta di servire una “patria” che si propone di difendere i confini, ma non la popolazione più bisognosa, e fa un appello ai movimenti antimilitaristi, affianca per un breve tratto di strada la loro battaglia. Si trovano sponde politiche tra i socialisti e la sinistra cattolica. Padri e madri, uomini e donne, si accampano davanti a Montecitorio: è il 9 novembre e ci sono anch’io. Abbiamo intenzione di tornare con una legge che consenta ai giovani di lavorare per la ricostruzione del proprio paese invece di fare il servizio militare. Dopo dieci giorni, viene firmata la legge per le zone terremotate. Ci vorranno ancora due anni per ottenere quella per il Servizio Civile Nazionale.

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