Il primo re

23 febbraio 2019 di: Rita Annaloro

Non so quante simpatie internazionali verso l’Italia attirerà questo film, coraggiosamente girato in un Fake Latinum che 2000 anni fa divenne la lingua più parlata al mondo. La singolare scelta del regista comunque rende più verosimili le scene in cui un gruppo di selvaggi lotta per la sopravvivenza in mezzo alle paludi di ciò che doveva essere all’epoca l’Agro pontino e le sponde del Tevere, infestato da feroci tribù primitive alle prese con i capricci di una natura indomabile che esigeva rispetto e devozione.

Dal punto di vista scenografico il film sembrerebbe un colossal americano, con scene impressionanti di esondazioni, fughe nella foresta e combattimenti in mezzo al fango. Quelli erano i nostri antenati, non si sa da dove arrivati, ma già dotati di nobili sentimenti quali l’amore fraterno, il rispetto della divinità, la compassione per i vinti, l’attitudine al comando…

Tutti elementi familiari nel cinema americano e, come assuefatti a quel modello, quasi ci aspettiamo le scene splatter di gambe tranciate, ferite purulente e banchetti sanguinolenti. Pure l’amore fraterno che supera ogni ostacolo a un certo punto si trasforma in conflitto, tra l’altro ideologico, che potrebbe far sorridere qualche nord-europeo dal sarcasmo facile….” La guerra fratricida gli italiani ce l’hanno nel sangue….”,così  come il rispetto  della sacralità…” per forza Il Papa sta a Roma….” ed è proprio questa la forza del film, che mostra l’alba della civiltà nell’identificazione  di forti principi civili.

Anche se conosciamo la storia, la suspense è tenuta viva dall’azione, che coinvolge non solo i protagonisti, di cui solo verso la fine apprendiamo il nome, ma anche il drappello dei superstiti in cerca di un territorio sicuro dove vivere…. in pace?

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