A parole nostre

18 marzo 2019 di: Claudia Pedrotti

Sì, perché le “parole” che abbiamo sentito pronunciare in questi ultimi giorni da chi svolge una funzione importante nell’organizzazione sociale e che di essa è osservatore privilegiato, non ci appartengono .

Non sono le “parole” di chi da sempre si batte perché la società sia davvero strutturata sulla parità dei generi affinché cessi quello squilibrio esistente tra uomini e donne alimentato da un “potere maschile” combattuto ma ancora fortemente radicato. Le “parole” sono potenti, formano, indirizzano, possono guarire ma possono distruggere. Sono passati molti anni da quando ci siamo rifiutati di giustificare il delitto perché d’onore e da quando siamo finalmente riusciti a riconoscere che dietro la violenza alla sessualità c’è l’anima irreparabilmente violata della vittima. E invece quei giudici che hanno usato le parole “soverchiante tempesta emotiva e passionale” per giustificare l’uccisione di una donna -l’ennesima- oppure “è poco attraente”..  “la scaltra peruviana” .. “neanche gli piaceva” per escludere l’atto dello stupro, ci hanno fatto tornare indietro di decenni.

Nel primo caso l’uccisione di una donna è stata ritenuta giustificabile perché dovuta ad una momentanea confusione psicologica che nemmeno aveva compromesso la capacità di intendere e volere del reo. Nel secondo caso è stato ritenuto che non si possa configurare il reato di stupro se non è  accompagnato dall’attrazione sessuale verso la vittima; in tal modo le  giudicanti hanno dimostrato di non sapere che per la configurazione dello stupro è richiesto un giudizio sulla violenza della condotta agita e non sull’avvenenza della vittima. La Corte ha tralasciato tutta la giurisprudenza formatasi in materia e ha dimostrato una mancata conoscenza del concetto di stupro come fenomeno abietto praticato tanto in tempo di pace che di guerra.

Analizzando le singole vicende emerge come, in entrambe, un rigoroso ragionamento logico giuridico abbia lasciato il campo a giudizi non consequenziali e di lombrosiana memoria.

Riguardo al primo caso si è pronunciata la Corte d’Assise d’Appello di Bologna in seguito alla impugnazione proposta dallo stesso omicida che in primo grado, confessando, aveva scelto il rito abbreviato -altra vergogna- ed era stato condannato a trent’anni, il massimo della pena prevista. Il Gup del Tribunale di Rimini in primo grado, in presenza di una relazione durata un mese tra due soggetti adulti, liberi, con alle spalle ognuno una propria vita di relazioni sentimentali, aveva dichiarato “C.M. colpevole del delitto di omicidio  aggravato ascrittogli…”. A questa decisione il Tribunale era giunto a seguito di perizia che aveva escluso la presenza nel soggetto di un disturbo psichiatrico tale per cui non ne era risultata inficiata la capacità di autodeterminazione. I periti avevano così concluso che dietro la violenza omicida, causata da una “soverchiante tempesta emotiva e passionale” per l’incertezza sul nuovo rapporto sentimentale, non si scorgeva “alcuna alterazione rilevante in termini di psicopatologia ai fini della capacità di intendere e volere”.

Di fatto le parole soverchiante, tempesta..etc erano state usate dai consulenti proprio per mettere in evidenza la sperequazione tra l’uccisione efferata praticata a mani nude e le sue cause abiette e futili. La Corte d’Assise d’Appello di Bologna, invece, ha ridotto la pena a sedici anni di reclusione per le seguenti ragioni. Pur affermando che l’azione omicidiaria  fosse stata frutto di “uno stato d’animo  improvviso e passeggero, privo di fondamento, non determinato da un sentimento di profondo attaccamento per una donna con la quale vi erano seri progetti di vita” tali da confermare “la sussistenza dell’aggravante ex art. 61,n.1 c.p.”,  tuttavia la Corte, con un ragionamento invero contraddittorio, ha ritenuto di riconoscere nella vicenda “elementi di fatto positivamente emersi atti a giustificare una mitigazione del trattamento sanzionatorio” incredibilmente identificati con due circostanze: la confessione dell’imputato che aveva riconosciuto i motivi abietti imputandoli  “delle sue poco felici esperienze  di vita”; e il fatto che il reo  avesse “..in qualche modo iniziato a risarcire la  figlia minore della vittima…nonostante l’operazione non sia stata portata a termine”.

Nel secondo caso la Corte d’Appello di Ancona aveva assolto due imputati dal reato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza di ventidue anni atteso che, come si legge in sentenza, il suo aspetto “era piuttosto mascolino come la fotografia  presente nel fascicolo appare confermare” tanto che il ragazzo aveva registrato il suo numero con l’appellativo “Vichingo”. Per queste ragioni le giudicanti avevano ritenuto che l’incontro tra i giovani fosse stato frutto della macchinazione della “scaltra peruviana”. Come ha detto il Procuratore Generale “Parole come ulteriore violenza per la vittima”.

E ciò in quanto i magistrati anziché fondare il loro giudizio su riscontri  obiettivi, come il referto medico del pronto soccorso che aveva rilevato sulla ragazza la presenza di lesioni compatibili con una violenza sessuale, si erano limitati ad esprimere considerazioni di natura razzista ed omofoba.

Queste non sono le “nostre parole”, vogliamo che se ne usino altre in tutti i campi del vivere civile, con gli scritti o le immagini: conoscenza, responsabilità, consapevolezza, rispetto e giustizia, per formare le menti e guidare le azioni.

3 commenti su questo articolo:

  1. Stefania scrive:

    Articolo molto interessante nei contenuti. Brava l’autrice Trovo anch’io, come tantissime donne, che le magistrate di cui si parla abbiano preso un abbaglio pericoloso e che abbiano causato un danno enorme alle vittime e al simbolico, Hanno creato un precedente gravissimo in giurisprudenza e mi auguro che la Cassazione ribaldi le sentenze e ripristini la Giustizia.

  2. Marica scrive:

    Siamo tutte parte lesa…anche l’anziana signora che in una casa di riposo veniva ripetutamente stuprata da chi avrebbe dovuto occuparsi di lei essendo ricoverata in una struttura”protetta”…non se ne può più,,.basta!!!

  3. rita scrive:

    ci stanno riportando indietro, tentando di cancellare i pochi diritti che avevamo conquistato, vedi ddl. Pillon

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement