faccende da donne
Paura. Una morsa fisica allo stomaco mi ha stretta alla notizia che i due neo eletti governatori leghisti hanno proclamato la guerra santa alle donne. Mi sono sentita in pericolo, con tutta la forza stordente di un attacco di panico assolutamente non previsto, e del tutto irrazionale. Che mi succede, ho pensato quando ho cercato di riprendere a respirare normalmente. Sono qui, nella cucina di una casa di campagna, in Italia. Vedo gli alberi dalla finestra, va tutto bene. Hai mezzo secolo, questo paese ha visto vittorie importanti, come il divorzio, la legge di parità, quella sul diritto di famiglia, la 194; godi come cittadina dell’eredità e del lascito del movimento delle donne, scrivi e leggi libri sul femminismo, non vivi a Teheran, questa è una democrazia.
Non è una novità che i temi legati alla sfera riproduttiva, e quindi all’autodeterminazione sul corpo femminile siano usati come merce di scambio: è già avvenuto in passato e questo immondo mercato ha coinvolto anche la sinistra.
La Lega ha bisogno di fare patti con il Vaticano. Se le gerarchie ecclesiastiche fanno muro contro la deriva razzista nel nome della civiltà cristiana, la mediazione con i celoduristi si può sostanziare nell’accordo sulla piaga originale che genera tutti i mali dell’odio verso la differenza: il sessismo. Dove, se non sull’autonomia del corpo delle donne, è possibile l’alleanza di ogni patriarcato con ogni fondamentalismo religioso?
E quindi via ai vaneggiamenti dei due governatori, generati dalla profonda ignoranza che alimenta l’arroganza tipica degli incompetenti, che proclamano che non permetteranno che la Ru486 arrivi negli ospedali. E via ai commenti di neo eletti ed elette leghiste che bollano l’alternativa chimica all’aborto chirurgico come «un metodo che lascia da sole le donne». Ecco il punto. Ecco l’origine della morsa e della paura, prima ancora dello sdegno e della rabbia. Le donne, io stessa, non siamo cittadine adulte in una comunità di pari: siamo soggetti ai quali riservare attenzione perché da sole non ce la facciamo a decidere. Siamo portatrici, a tutte le età e condizione sociale, di un handicap inevitabile perché il nostro è il genere minore, il secondo sempre, anche quando seguisse il destino assegnato di docili gregarie in quanto figlie, sorelle, mogli, madri. Tutte, proprio tutte, abbiamo da essere sorvegliate soprattutto e specialmente nella sessualità e nelle scelte riproduttive. Con una incongruenza lampante e possibile solo nella politica patriarcale quelle che sono normalmente rubricate come “faccende da donne”, secondarie sempre nei programmi della politica, cioè tutto il lavoro sociale della riproduzione, diventano all’improvviso centrali, e imprescindibili.
In questo gioco nessuno si senta innocente, però. Poco prima delle elezioni Radio Popolare mi chiamò per un microfono aperto nel quale si discuteva della sentenza che sancisce come passibile di denuncia chi afferma che le donne non possono, in quanto donne, accedere a determinate carriere. Eloquenti le reazioni di chi intervenne: le donne affermarono che si trattava di una sentenza giusta perché il sessismo è un male ancora radicato e da combattere con ogni strumento, mentre in formazione compatta gli uomini all’ascolto (di sinistra) definirono quell’intervento e quel tema «una stronzata» che distoglieva dai veri problemi del paese.
Ecco la guerra alle donne: pensieri e pratiche che rendono insignificanti quelle “faccende da donne”, che sono, invece, in quanto diritti della metà e oltre della specie umana, il cuore dello stato di civiltà di un paese, e del mondo intero.