storia di Nina
Lei scendeva nella sera ogni sera. Il vento le afferrava le vesti. Le stracciava.
Lei saltava tra i cespugli alti delle ortiche. Non sentiva il sangue imbrattarle le cosce.
La vedevano in pochi, ma tutti sapevano che Nina aspettava le ombre per urlare nella corsa la sua disperazione. Un grido muto, sibilante come il vento nelle orecchie.
Le gambe allungate nello sforzo sembravano bucare lo spazio e sfuggire alla gravità. Volava Nina. La testa le scoppiava. Le vene gonfie percuotevano le carni, affioravano come se cercassero una via d’uscita, una breccia per sgorgare e rallentare il ritmo insostenibile del cuore. Ma lei non aveva altro tempo, non rallentava la corsa perché la sera calava improvvisa al limitare della valle. Quando Nina aderiva con tutto il suo corpo al muro grezzo del convento, quando il palmo delle mani tastava quel muro per riconoscerlo e trattenerlo, quando il forte strofinio le graffiava le dita, i polsi, le braccia, era tempo di invertire la corsa, di ritornare in casa prima che la notte la sorprendesse, la luna la rischiarasse e la rendesse visibile.
La trovarono un mattino di aprile con gli occhi rivolti al cielo. Dissero che era bellissima e “pulita” come mai era stata.
Avevo otto anni quando mi fu raccontata la storia di Nina. Era considerata “matta” nel piccolo paese madonita. Nessuno cercò di capirla, nessuno le si accostò per darle l’aiuto che cercava con il suo grido muto. Nina era ai margini di una società ottusa, maldicente, conformista.
Penso a quante Nine si muovono nella notte, anche oggi, inascoltate.
(Rose, N.Y. 1914)
Chissà se De Andrè sapeva di Nina quando scrisse la sua canzone “Ho visto Nina volare tra le corde dell’altalena, un giorno la prenderò come fa il vento alla sera…..Luce luce lontana che si accende e si spegne, quale sarà la mano che illumina le stelle…”
Cara Francesca, grazie. Sei riuscita, in modo così poetico, a risvegliare queste fragili figure che spariscono nel silenzio e nel nulla….ognuno di noi ha una Nina da ricordare…
Nina è assai più e assai meno che compassione: una smisurata partecipazione, un trasfondermi nella creatura, la sensazione che un fluido di vita e di morte, di sogno e di veglia si fosse riversato in me per un momento .
Potremmo entrare in un nuovo, significante rapporto con tutto il creato, se cominciassimo a pensare col cuore una qualsiasi creatura solo apparentemente insignificante ?