Università:troppi cambiamenti, poca qualità
Un Comune che ogni mese cambia i sensi di marcia delle principali arterie urbane è da considerare ignorante e nuoce al benessere complessivo della città. Allo stesso modo un Governo che in breve tempo modifica fette consistenti delle norme che regolano il funzionamento dell’Università è da considerare quantomeno sconsiderato, se non peggio. La modificazione repentina della didattica e la riorganizzazione della struttura accademica comportano che le energie virtuosamente spendibili nel miglioramento della qualità dell’istruzione vengano invece deviate in un interminabile lavoro d’adattamento alle disposizioni obbligatorie spasmodicamente emanate.
Uno degli ultimi prodotti di questo vizioso programma è il decreto ministeriale 270 del 22 ottobre 2004, applicato in Italia dal 2007, che tra le altre, con una serie di aggiunte recenti, impone una riduzione complessiva del 30% dei corsi di laurea per facoltà. La precedente legge che regolava il sistema didattico universitario è la 509 del 1999, la prima ad introdurre nel sistema accademico italiano la normativa europea della divisione del percorso in 3 anni più 2 di specializzazione, generando risultati inferiori alle aspettative, e nel futuro incombe già il Decreto di legge 1905 noto come Decreto Gelmini.
Forse, se alle facoltà fosse dato modo di spendere meno tempo a conformarsi alle ultime circolari e regolamenti accademici, e più tempo ad organizzare la macchina universitaria in base a disposizioni e fondi certi e stabili negli anni, saremmo in grado di fruire di un’Università più solida e di qualità.
Questo il Governo sembra non capirlo. O, forse, lo capisce fin troppo bene.