sosteniamo le donne afghane
Ancora una volta, quando un soldato italiano muore in una terra lontana, per una «missione che porta la pace» attraverso una guerra infinita, siamo chiamati a riflettere su quanto questo mondo sia cambiato, su come i confini si siano trasformati e su quanto siamo coinvolti in processi globali. In nome della pace si muore, andando, quasi inconsapevoli, in guerra. E le armi, ancora oggi, sono l’unica risposta che siamo in grado di trovare per portare la pace. E da altre armi si è uccisi. L’unica cosa che credo ragionevole, oltre a ripudiare la guerra, anche quella combattuta in nome della pace, sarebbe portare aiuti veri, diversi, alle tante donne che in Afghanistan lottano per un futuro per ora impossibile. Alle associazione di donne coraggiose che senza armi rischiano la vita per trasformare il loro paese: prima tra tutte a Rawa, l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane, fondata nel 1977 e composta da donne impegnate da allora nella lotta per la libertà, la democrazia, la giustizia sociale e i diritti inalienabili delle donne in Afghanistan. Un’associazione continuamente bersagliata da minacce terroristiche, omicidi, diffamazione, soffocamento politico e calunnia da parte dei fondamentalisti e delle forze reazionarie. Se Rawa e gli altri gruppi laici e democratici avessero un appoggio dai “combattenti per la pace”, il loro sfortunato Paese non sarebbe alla mercé dei fondamentalisti. Aiutare Rawa significherebbe soccorrere l’unica organizzazione di donne in Afghanistan, con il coraggio di affrontare e lottare attivamente contro il settarismo e il fanatismo religioso dei fondamentalisti. Significherebbe rendere omaggio ad un movimento tenace, a favore delle forze laiche democratiche in Afghanistan, una forza che difende il progresso sociale e la democrazia in una situazione imposta dalla banda più anacronistica, mercenaria, arretrata di criminali religiosi che il mondo contemporaneo abbia mai conosciuto.