la terribile sfida della Fiat di Marchionne
La vicenda della crisi dell’automobile, che raccoglie in sé molti degli aspetti poliedrici e simbolici della crisi globale, si manifesta pienamente nella Fiat di Sergio Marchionne, attraverso un incrocio micidiale tra Chicago, Termini Imerese e Pomigliano d’Arco. Essa acuisce le contraddizioni tra intervento pubblico nell’economia e decisioni privatistiche, in relazione ai tagli occupazionali e alla gestione dei contratti di lavoro. Questa vicenda è emblematica, impone seri e rapidi approfondimenti su alcuni aspetti del capitalismo post fordista e consegna al sindacalismo confederale problemi inediti e sfide titaniche. La singolarità della vicenda italiana consiste, innanzitutto, in un atteggiamento notarile del governo nazionale che stride con quanto sta accadendo in tanti paesi europei (Francia, Germania) ed extraeuropei (Usa, Corea del Sud, Giappone). Le recenti scelte di Sergio Marchionne rischiano di operare una traumatica rottura tra Fiat e identità territoriale, e corrispondono ad una idea finanziaria più che industriale. E’ abbastanza vergognoso il tentativo di scaricare la responsabilità della crisi sui lavoratori e, in particolar modo, sulla Cgil. Volere azzerare l’efficacia del contratto collettivo nazionale di lavoro, scambiare investimenti con elementari diritti – alcuni dei quali costituzionalmente garantiti – è una scelta miope e pericolosa per la tenuta stessa della coesione sociale. Strappare e dividere, attaccare diritti fondamentali, minacciare delocalizzazioni: è questa la “modernità”? La Cgil difenderà all’estremo la dignità del lavoro, rifiutando il comando sul lavoro e restituendo al “valore lavoro” i connotati della “libertà dal bisogno”.
Neri nuvoloni si addensano sopra lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, agnello sacrificale di un territorio indebolito da penalizzanti scelte governative; s’impone, pertanto, una mobilitazione sindacale (speriamo unitaria) per riaffermare il valore della contrattazione collettiva e la storica funzione di rappresentanza di interessi generali e non corporativi. Sarà un’occasione per misurare portata e qualità di quella che comunemente chiamiamo “classe dirigente”.