la vittoria dei fannulloni

8 luglio 2010 di: Stefano Piazza

Quando nel 2008, in seguito alla famigerata legge Tremonti n.133 che costituiva la prima mannaia sui fondi e stipendi universitari, in tutti gli atenei italiani scoppiò la protesta, il Governo rispose con slogan tanto efficaci quanto demagogici: «è finita l’era dei baroni universitari», «noi siamo per la meritocrazia», «’sti professori guadagnano migliaia di euro senza fare nulla» (quest’ultima, in sintesi, l’opinione espressa da Bossi in una breve pausa in cui non parlava di federalismo). La Gelmini, in particolare, che nel frattempo preparava la riforma del sistema educativo italiano, sollevando proteste ancora più forti, si schierò, e continua a farlo, dietro lo scudo della meritocrazia, spalleggiata ovviamente, nelle stesse finalità demagogiche, dal ministro Brunetta. Dissero tanto che, alla fine, all’interno dei corridoi delle nostre malandate università iniziammo a crederci veramente. La meritocrazia era in fondo una meta a cui, i docenti e ricercatori più coscienziosi, avevano da sempre aspirato, guardando con invidia i ben più meritocratici panorami accademici internazionali. Riprendendo vecchie norme e prevedendone di nuove, sembrava in effetti che qualcosa si stesse per muovere in base a due criteri fondamentali così sintetizzabili:

1) assegnazione ad ogni ricercatore di un punteggio in relazione alla produzione scientifica, stabilendo un minino sotto il quale il docente viene dichiarato inattivo. Il personale dichiarato inattivo penalizza i finanziamenti alla propria struttura di appartenenza; non può chiedere finanziamenti per le ricerche e, dulcis in fundo, subisce una riduzione dello scatto stipendiale;

2) controllo della qualità delle pubblicazioni, per evitare che un articolo sull’almanacco di Topolino valga quanto uno su una rivista scientifica accreditata.

Qualcosa si stava muovendo e i docenti “attivi” iniziavano a cantare vittoria, nonostante il punteggio minimo fosse troppo basso, consentendo anche ai più pigri di poterlo raggiungere, e i criteri di valutazione delle pubblicazioni lasciassero molto a desiderare. In ogni caso qualche caso eclatante di nullafacenti e belli addormentati nel bosco (anzi nell’Ateneo) era già emerso, suscitando mortificazione da un lato e soddisfazione dall’altro.

Qualcosa si stava muovendo quando, all’improvviso, è arrivata la manovra economica che, dovendo racimolare un po’ di miliardi si è ovviamente concentrata sui tagli al pubblico impiego. Mentre gli evasori fiscali, proprietari di ben 120 miliardi di euro non dichiarati, cantano vittoria, tutti gli stipendi dei docenti, bravi, scarsi, attivi, inattivi, geni e belli addormentati, sono stati bloccati per tre anni, cancellando lo stesso periodo di tempo dal conteggio degli scatti in modo da rinviare gli aumenti salariali al 2015. Oggi all’università festeggiano (segretamente) solo i fannulloni, alla faccia di Brunetta, perché sono loro che hanno vinto, mentre la meritocrazia, alla faccia della Gelmini, ha clamorosamente perso.

Un unica domanda mi viene in mente: ma i ministri Tremonti, Gelmini e Brunetta fanno parte dello stesso governo?

(Cantieri Coreja, la pazzia di Orlando con marionette viventi)

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