finalmente libera!
Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, forse ora potrà ritirare il premio, conferitole nel lontano 1991, e quel più conta, potrà riabbracciare i suoi due figli. Non è la prima volta che noi di Mezzocielo ci occupiamo di lei. L’abbiamo accompagnata fin dai primi tempi. Ci affascinava la sua storia personale e privata, a cominciare dal padre che, capo della fazione nazionalista del Partito Comunista birmano, fu assassinato quando la figlia aveva appena due anni; dalla madre, Khin Kyi, divenuta una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania, ambasciatrice in India nel 1960. Mai come in questo caso possiamo affermare che Aung San la democrazia ce l’ha nel Dna. Fin da piccola ha seguito la madre e con lei ha respirato il sapore della democrazia, in uno Stato in cui non è concesso, dove, di più, ha un costo molto alto. Ha viaggiato tanto, in India, in Inghilterra, in America e proprio a New York, dove nel 1972 cominciò a lavorare per le Nazioni Unite e dove ha incontrato Michael Aris, divenuto poi suo marito, che l’ha aiutata e sempre incoraggiata nel suo lavoro. I militari le hanno offerto l’opportunità di lasciare il suo Paese per sempre, ma lei l’ha sempre rifiutata, abbandonare il suo popolo era per lei un prezzo troppo alto. Tornata in Birmania nel 1988, per accudire la madre gravemente ammalata, affascinata da figure luminose e non violente come il Mahatma Gandhi e Nelson Mandela, decise di contrapporsi alla dittatura militare del generale Saw Maung, ma in maniera non violenta, fondando la Lega Nazionale per la Democrazia
Quando i militari indissero le elezioni, la Lega di Aung San raggiunse una schiacciante vittoria elettorale, che avrebbe dovuto conferirle la carica di Primo Ministro. Ma i militari annullarono l’esito del voto, rovesciando la democrazia e prendendo il potere con la forza. Aung San fu condannata a tre anni di lavori forzati per violazione della normativa della sicurezza (!) poi commutati in 18 mesi di arresti domiciliari. Un vero calvario il suo, che non le ha consentito l’estremo saluto al marito, morto nel 1999, nonostante le pressioni internazionali. Arresti revocati e poi rinnovati nel 2003, 2006, 2007. Nel 2008, per il suo impegno a favore dei diritti umani e della pace, il Congresso degli Stati Uniti le conferì la massima onorificenza: la Medaglia d’Onore. Finalmente libera, potrà riabbracciare i suoi figli, che ha dovuto abbandonare in tenera età, e che sono oggi giovani adulti. Tutto il mondo ha perorato la sua causa, anche gli U2 le hanno dedicato una canzone incitandola ad andare avanti “Walk On” e anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo sperato per la sua libertà e oggi è con grande gioia che possiamo dire: finalmente libera!
Bellissimo articolo, Giusy.
Mi piacerebbe aggiungere, a proposito di Aung San Suu Kyi, che nelle due fasi del 360° Tour dello scorso anno, alcuni volontari di Amnesty International salivano sul palco durante la canzone indossando maschere con il viso della leader democratica; e ricordare le parole di Bono degli U2:
“Questa donna stupefacente che ha messo la famiglia dopo il suo Paese, che per le sue convinzioni ha fatto una scelta insopportabile, di non vedere i suoi figli crescere e di non essere con suo marito mentre perdeva la sua vita per un cancro lungo e doloroso. Sun Kyi, con un´idea troppo grande per ogni prigione, ha cambiato la nostra visione, come solo i veri eroi riescono, di come quello che crediamo sia possibile”