il mondo dello spettacolo è andato in scena

30 novembre 2010 di: Daria D’Angelo

Allo sciopero hanno partecipato più di 250 mila lavoratori. Sale cinematografiche chiuse, spente le luci del palcoscenico.

Attori e cantanti non sono entrati e usciti dalla scena. Silenzio sulle parole recitate, sulle amabili battute scacciapensieri che abitualmente vivono sul palcoscenico e si trasformano in uno sfondo della nostra esistenza, come il mare o la montagna della città natale.

Certo, ci sono beni più necessari e indispensabili, dal pane alle cure mediche, ma il teatro, da millenni ha un ruolo fondamentale nella vita comune. È un’arte in cui l’irripetibile e insostituibile creatività individuale (dell’autore, del regista, dell’attore, dello scenografo), instaura un dialogo non solo con ogni singolo individuo, ma con la società e la civiltà da cui nasce e che interpreta, per celebrarla o per criticarla. Dalle sacre rappresentazioni, ad ogni sua altra forma, il teatro è un evento pubblico, un comune denominatore della vita sociale. Come dimenticare che proprio il teatro classico contribuì in misura determinante a fondare la democrazia della Polis greca, e fu a sua volta fondamento della civiltà occidentale? Lo stesso teatro che, dinanzi al pubblico di Atene, gettava le basi per quello che sarebbe poi diventato il linguaggio dei contenuti dell’universale-umano. Non occorre certo essere Sofocle o Eschilo per essere riconosciuti nella dignità del lavoro teatrale che, come ogni lavoro, nasce non solo dai geni ma dall’opera, più o meno nota, di tutti coloro che vi contribuiscono. Certo, è meglio vivere senza teatro che senza pane. Ma la vita sarebbe davvero triste senza il teatro e non siamo nati solo per sopravvivere, ma anche per capire qualcosa della vita e, se possibile, pure per goderla.

Per questo migliaia di voci si sono unite, insieme, per gridare contro i tagli alla cultura, e non dover rinunciare a concerti, musica, danza. Hanno protestato per non perdere il conforto dell’arte, per non dimenticare estetica e bellezza, per non colpire ancora, alla radice, la diffusione di messaggi profondi, un substrato indispensabile di quei valori ormai in via d’estinzione, insostituibile bagaglio interiore che ci protegge dal logorio di una vita in fuga attraverso la tangenziale verso un incolmabile vuoto e uno scadere del gusto, ma, soprattutto, del buongusto.

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