diario di giornalista che non ama l’alba
Al lavoro dalle 6.30 del mattino, la giornata comincia maluccio in sé. Arrivo in redazione e trovo già un paio di notizie pubblicate dall’Ansa: sequestro beni da 50 milioni di euro ad un boss dell’Acquasanta. E’ Vincenzo Graziano con interessi nel Friuli Venezia Giulia, decine di case, soldi, conti in banca, una Ferrari e un panfilo. E’ in carcere da quasi due anni, il suo tesoro era anche al nord e lo Stato glielo toglie solo adesso. Pochi minuti dopo, arriva in redazione un’altra buona nuova: altri 30 milioni sequestrati ad un ergastolano catanese, uomo di Nitto Santapaola: era ancora in possesso della sua “roba”. Non passa mezz’ora che ne arriva un’altra: tre poliziotti, di cui uno vicequestore, arrestati ad Augusta per una vicenda di peculato nella quale si sarebbero resi utili, diciamo così, come favoreggiatori. Ad Adrano, hinterland catanese, hanno trovato dentro un’auto bruciata resti umani che dovrebbero appartenere ad un imprenditore agricolo sparito qualche giorno fa. Aveva 45 anni, alla moglie aveva detto: vado ad un appuntamento di lavoro. Ad Agrigento suona invece la campana dell’emergenza rifiuti. I netturbini scioperano da quattro giorni perché non ricevono lo stipendio dall’Ato (che sta per Autorità d’ambito, una società privata a capitale pubblico) che avanza soldi dai comuni della città e della provincia. Un fallimento tutto siciliano, quello della privatizzazione della raccolta dei rifiuti.
Fa anche freddo, farebbe piacere parlarne perché si sono imbiancate le alture. La Conca d’oro è innevata, lo è anche lo Stromboli, figuriamoci l’Etna. Che bello, si potrebbe dire, siamo vicini a Natale. Non fosse che la pioggia e forse un po’ di ghiaccio sono le possibili cause di un incidente mortale sulla tremenda statale Palermo-Agrigento. Ha perso la vita un’anziana. Era accanto al marito su una utilitaria. Si sono schiantati contro un camion. A noi siciliani il maltempo ci fa perdere lucidità, riflessi, ci fa morire. E ultimamente sono sempre più donne a viaggiare e a perdere la vita. Su quella strada di pendolari in due mesi ne sono morte tre. Torna alla mente la promessa del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Cipe (Comitato per la programmazione economica) e leader del nuovo Forza del sud, Gianfranco Miccichè. Il Cipe ha stanziato i fondi per il raddoppio della Palermo-Agrigento, disse almeno due anni fa in conferenza stampa. Non un cantiere è stato aperto su quella terribile strada. L’unica opera pubblica assegnata è il rifacimento dello svincolo di Castronovo, l’ultimo comune in provincia di Palermo e al confine con la provincia di Agrigento.
Ed ecco la politica, quella vera. Si fa per dire. La notizia del giorno è che è nato il Polo della Nazione. E’ la contromossa degli sconfitti dopo la fiducia sgangherata a Berlusconi. Neanche a dirlo, c’è di mezzo il laboratorio politico siciliano. Arriva a Roma l’esperimento (manca il Pd per la verità, ma Bersani è lì che medita) di Palazzo d’Orléans. Casini, Fini, Rutelli e il nostro governatore Lombardo si lanciano nell’ennesimo tentativo di costituire un’alternativa al Cavaliere. Lui non gliele manda a dire: spariranno, ha commentato, già pronto ad offrire posti e posticini agli «sfigati delusi da Fini». Chissà come andrà. Una foto del vertice mostra i leader della nuova temeraria alleanza. In un corner si vede una figura che dà sgomento: quella di Giorgio La Malfa, repubblicano? centrista? democratico? E’ nel drappello dei moschettieri anti-Berlusconi. Mamma mia!
Meglio chiudere la giornata. Pomeriggio al caldo con figlia e torta al cioccolato fatta in casa.
Francamente non vedo e non riconosco alternative.
(verso il partito della nazione, prove di logo)
Brava Marina… Grazie per averlo condiviso con noi!
Grazie, collega!
Brava Marina una giornata palermitana in redazione! Il rischio è che ci chiudiamo tutti nel privato. ma fin quando potremo godere, dei figli, di una torta? Brava comunque
Daniela, ti ringrazio. La torta al cioccolato ha il suo perché…
Cara Marina,
il tuo bell’articolo mi ha ricordato una espressione che uso spesso con le mie amiche/compagne quando manifestano giustificate stanchezza e delusioni per l’attività svolta: “Ma allora lasciamo tutto e mettiamoci a fare torte di mele” (non azzardo il cioccolato!). Non che le torte, specie con i bambini, non siano una bellissima cosa fino a che non rischino (non è il tuo caso, certo!!) di diventare un rifugio. Ahimè, è così: bisogna indignarsi ma continuare ad operare per il meglio possibile, sempre. Qual è il confine tra indignazione e qualunquismo? Me lo domando spesso, quando gli avvenimenti si evolvono in modo così contrario alla nostra aspirazione ad una società più giusta ed armoniosa. Ma il confine c’è, ed io non voglio attraversarlo. Siamo in tante, vero, a pensare così? Lo segnaliamo ogni giorno con il nostro impegno di instancabile denuncia del male, di instancabile speranza di eliminarlo o quanto meno ridurlo, di instancabili tentativi di mantenere aperti – anche in piccole dimensioni – spazi di vita collaborativa e pulita: nel mondo così aspro della informazione (dove lavori tu); in quello, che pure persiste, di una politica praticata onestamente; nell’associazionismo femminile e culturale (dove cerco di essere presente, finché posso, anch’io). Indignazione, sempre; passività e qualunquismo, mai.
Cara Simona, il tuo commento mi onora per più di un motivo. Il primo: forse abbiamo in comune la passione per i dolci e per la metafora che trattengono nel loro dispensare endorfine, soprattutto quando trattasi di cioccolata. Il secondo: so quanto si debba a donne come te per battaglie di civiltà e di affermazione dell’autodeterminazione femminile. Il terzo: sono contenta di avere suscitato il tuo benevolo richiamo. Il pezzo che ho scritto durante una mattinata un tantino avvilente voleva essere una provocazione, uno sfogo, non una dichiarazione di resa. D’altronde, torta a parte, non si potrebbe mai considerare il desco familiare un ripiego. Confesso di coltivare una scala di valori un po’ sbilanciata verso il mio indirizzo di casa. Sono una giornalista di 45 anni, all’opera da oltre 20. La cronaca, la realtà sono la zuppa del mio pranzo. Una zuppa che si fa ogni giorno più amara. Chi mi conosce sa che non sono una pessimista, anzi. Né arrendevole per carattere. Ho persino fama di gran rimpiscatole. Il punto è che anche la capacità di indignazione rischia di diventare un fatto privato, un patrimonio che resta fra le mura di un pianterreno con giardino, nello spazio di una conversazione fra amici, nelle chiacchierata con la figlia sveglia e precoce. Forse tu volevi tirare la mia giacchetta di giornalista. Lo accetto perché in parte hai ragione: noi giornalisti dovremmo fare di più, denunciare di più. Ma nel ribadire che quel “pezzetto” aveva proprio un intento del genere, ti dico che in giro ci sono professionisti davvero bravi. Ammiro molti colleghi e sono ottimista. Il giornalismo italiano è in crescita ed è sempre più sulla strada dello stile anglosassone. E’ un paradosso perché invece la società è un po’ peggiorata per via della gitantesca epidemia berlusconesca, un virus per il quale occorre una cura che richiederà molti anni. Detto ciò – e chiudo – se accetterete il mio malinconico modo di lamentarmi e il mio debole per gli occhioni di una tredicenne un po’ freak e per le torte fatte in casa, io di giornate ve ne racconterò altre. Perché, lo giuro, non sono qualunquista.
Ma io sono totalmente d’accordo con te. Non era affatto un “tirarti per la giacchetta”, ma una riflessione comune su tutte noi: sempre in bilico tra l’urlo disperato e l’impegno (quasi irrazionale) ad operare per produrre cambiamenti concreti; tra il richiamo della macchina da scrivere (cioè, il computer oggi) e quello degli occhioni felici di un insostituibile meraviglioso bambino (o bambina) che si lecca le labbra coperte di cioccolata. La vita di molte di noi è stata (è) una continua logorante tensione tra questi richiami. In futuro andrà meglio per le donne? Ci diamo da fare per questo! Benvenuta tra noi.