gli strumenti per cambiare, in Europa e in Africa

31 gennaio 2011 di: Simona Mafai

La situazione politica italiana si sta imbrogliando come mai in passato: nel crocevia di una crisi che coinvolge problemi economici primari (la produttività manifatturiera del paese), la tenuta delle assemblee legislative (delegittimazione reciproca dei presidenti delle due Camere), la questione morale, il sistema dell’informazione – si succedono accuse reciproche, discorsi minacciosi, addirittura (forse eccitati dagli eventi del Nord Africa) invocazioni alla piazza. L’invito alla calma (lanciato da Napolitano, ripreso perfino da Bossi!) dovrebbe coinvolgere un po’ tutti, anche sacrificando qualche aggettivo di troppo. Le migliaia (e forse centinaia di migliaia) di persone in piazza in Tunisia, in Egitto, nello Yemen che chiedono giustamente la fine delle dittature di eventuali successioni pseudo-dinastiche – attirano la nostra attenzione; hanno un fascino, cui una parte dell’opinione pubblica e della intellettualità italiana è certamente molto sensibile.

Più di uno/una comincia a domandarsi se – per risolvere i problemi italiani – non si possa seguire in parte quella strada. Ma noi abbiamo alle spalle secoli di cultura politica e giuridica, da cui sono nate una rete d’istituzioni pubbliche (Parlamento, Regioni, enti locali) e strutture private (i partiti), oltre a una sempre più influente rete informativa, che devono servire proprio a cogliere e incanalare contestazioni e conflitti. La svalutazione reciproca, fin quasi alla demolizione, di queste strutture, si spiega e si giustifica per una serie orrida di eventi e comportamenti, ma va fermata. Perché questi, sia pur difettosi, sono gli strumenti (“europei”) che abbiamo per modificare l’esistente e risolvere i problemi e questi dobbiamo utilizzare. Appelliamoci alla nostra intelligenza. L’alternativa (la piazza?) rischia di farci scendere più in basso.

1 commento su questo articolo:

  1. rita annaloro scrive:

    Ti ricordi(forse eri troppo giovane?) quando Gaber cantava “libertà è partecipazione”? Certo le piazze possono fare paura, ma a me spaventa di più la rassegnazione, il “qualunquemente” assenso, la rinuncia ad una alternativa politica perchè tanto “tutto sarebbe lo stesso”, tutti sarebbero gli stessi. Non è vero, cambiare si può, e la storia ce lo dimostra.
    Rita Annaloro

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