rivolte in Nord-Africa, la presenza delle donne

22 febbraio 2011 di: Simona Mafai

Di fronte ad eventi così grandiosi ed imprevisti come le rivolte che si stanno sviluppando in Nord Africa – un incendio mai visto, unico e indomabile – i non competenti come me, anche se appassionati di politica e storia, non possono proporre analisi e spiegazioni che risulterebbero inevitabilmente inadeguate e fallaci. Quello che posso esprimere, e lo faccio con emozione, è un groviglio di sentimenti forti e contraddittori: gioia per le muraglie dittatoriali, apparentemente infrangibili, che sono crollate; paura che le dittature decapitate lascino la strada a governi militari (come pare in Egitto), a guerre civili (come pare in Libia), o all’affermarsi di una rete di teocrazie – dato che le uniche entità che cominciano a parlare alle popolazioni e a nome delle popolazioni, ergendosi come interlocutori dei traballanti poteri provvisori esistenti, sembrano essere gli imam.

Ma ci sono anche molte speranze.

Alle decine di migliaia di giovani che hanno occupato le piazze, la maggior parte dei quali istruiti e diplomati, con pieno dominio sui mezzi di comunicazione (e proprio per questo gigantesco dislivello culturale divenuti insofferenti della decrepitezza morale e culturale di dittature pluridecennali) auguriamo che sappiano trovare la strada per auto-organizzarsi, strutturando proprie valide rappresentanze; senza le quali è difficile (o addirittura impossibile) colloquiare con i poteri fragilissimi appena costituiti, metterli alle corde e costruire strutture nuove. E le donne: ci sono o non ci sono? Abbiamo visto, nelle confuse immagini trasmesse in questi giorni, intere famiglie accampate nelle piazze: qualche madre, alcune ragazze. Presenze casuali o molto di più? Monica Lanfranco, scrivendo qualche mese fa su Mezzocielo, di ritorno dal Cairo, annotava: «La maggior parte delle donne è chiusa nell’oppressione scura e maledetta di abiti che lasciano visibili solo gli occhi, e poche esibiscono i loro capelli. Una recrudescenza dell’islamismo fondamentalista che fa paura, rabbia e che mozza il fiato». Ma sotto quegli abiti oppressivi, cosa pensano e vogliono quelle donne? Io ritengo (e spero) che nella diffusa e fortissima richiesta di libertà e dignità che travolge queste piazze, pulsi sotterranea, ma pronta ad uscire allo scoperto, la volontà di libertà delle donne.

2 commenti su questo articolo:

  1. ester palmeri scrive:

    Sarebbe interessante comprendere in questo momento i desideri delle donne che, so che attraverso internet, hanno fatto sentire la loro voce, voi come mezzocielo ve ne potrete occupare con più possibilità, fatelo.

  2. gisellamodica scrive:

    anche a me piacerebbe sapere molto di più della partecipazione femminile a queste lotte anche per capire meglio noi “italiane” come posizionarci . Perchè credo che oggi parlando di manifestazioni come la nostra del 13 febbraio nonpossiamo prescindere da alcuni fattori: cosa sta succedendo fuori dalle mura italiane per esempio; quanto sia importante x noi il coinvolgimento o l’attenzione delle straniere in italia, e il ruolo delle giovani trentenni, delle quali sappiamo poco ma per quel poco è certo che si muovono su piattaforme politiche più radicali, con grande interesse per le questioni internazionali e con grande attenzione alle straniere. Ho trovato alcune (poche) notizie sulla partecipazione delle donne alle rivolte sul sito it.globalvoiceonline.org; su http://www.italia.attac.org. Repubblica del 3 febbraio dà notizia inoltre di Asmaa Mahfuz, 26 anni, attivista del movimento di opposizione 6 aprile che ha fatto un appello su un video dal quale pare sia partita poi la protesta del 25 Gennaio in piazza Tahrir.

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