Fukushima e la nostra imperitura danza tra apocalittici e integrati
L’eco dell’incidente nella centrale nucleare di Fukushima a seguito dello tzunami in Giappone è arrivata anche da noi in Italia. Inutile evidenziare che le cronache riportano alla ribalta il controverso tema dell’energia nucleare, soprattutto alla luce delle ipotesi di realizzazione di impianti in Italia. Inutile poi dire che sul tema del nucleare i toni sono accesi e preoccupati, lo scontro tra apocalittici e integrati si manifesta ad alta intensità data l’importanza tecnologica, scientifica e ideologica, della faccenda. Pertanto, da ignorante in materia, non aggiungerò nulla alle già abbastanza articolate argomentazioni che animano il dibattito pro/contro nell’opinione pubblica italiana. La mia riflessione proviene invece da anni di studio accademico dei media, dell’informazione e del giornalismo, e si concentra sull’informazione scientifica, branca che da sempre presenta un profondo gap tra i fruitori di notizie e gli effettivi argomenti trattati. Infatti se per raggiungere il maggior numero di utenti, i giornalisti peccano di approssimazione tecnica degli argomenti scientifici, viceversa per garantire un linguaggio scientifico esatto, bisogna farlo rivolgendosi solo ad un pubblico già competente. Uno dei risultati è che la presentazione delle vicende scientifiche avviene non tanto con argomentazioni tecnico-scientifiche precise quanto su una “emozionalizzazione” dei fatti, che non può non allontanarsi dal dato scientifico a monte. Il trattamento delle vicende della centrale nucleare di Fukushima in Italia non è da meno. Penso alla retorica deamicisiana di Massimo Gramellini che sulla rete nazionale lo scorso 19 marzo ha parlato di un operaio giapponese che “è andato incontro a morte certa” senza che questo sia accertabile, o alla paura a briglia sciolta sulla nube radioattiva che dal Giappone dovrebbe causare in Italia danni imprecisati. A prescindere dalla veridicità delle informazioni circolanti, nei principali spazi informativi ho visto pochi tecnici ed esperti del settore e fin troppi “avventurieri” che hanno azzardato giudizi pesanti su vicende che accadono a circa diecimila chilometri da noi.
Infine, soprattutto, mentre noi in Italia ci sbizzarriamo con la retorica-fine-di-mondo, in Giappone gli abitanti stoicamente lavorano per rimettersi in sesto, e le previsioni vogliono il ripristino del PIL giapponese entro un anno.
cara Elena, guarda le foto dei bambini colpiti dalle radiazioni di Chernobyl, a distanza di anni dall’esplosione, e poi mi dirai se le malformazioni e le sofferenze causate dalla nube radioattiva – quindi anche dalle radiazioni di Fukushima, certe e non retoriche – non assomigliano molto da vicino alla morte. Che arriva presto e male, per chi resta esposto come quegli operai giapponesi che non se ne faranno niente dell’incremento del Pil, e la distanza non ci mette per niente al riparo, ci sono i venti, c’è la catena alimentare, la globalizzazione è anche questo.
Cara Rosanna, condivido il tuo pensiero (infatti riferendomi ai danni della nube uso l’aggettivo “imprecisati”, mica “inesistenti” o simili), ma per quanto riguarda l’articolo, la mia è una riflessione di tutt’altro genere sull’aspetto mediatico del trattamento dell’informazione scientifica su Fukushima, e sulla – a mio avviso – confusione nei toni usati e negli esponenti coinvolti.