i silenzi del governo sulla crisi libica

5 marzo 2011 di: Daria D’Angelo

A due passi da casa nostra, in un Paese dove moltissimi nostri connazionali risiedono e lavorano, le dimensioni del massacro non possono che suscitare emozione e disgusto. In Libia, come ieri in Egitto e in Tunisia, l’emozione si accompagna al tentativo di capire, all’ansia di prevedere. Certo, non basta per dire che Gheddafi è spacciato, ma è evidente l’inizio di decomposizione strutturale del suo potere, e sono sufficienti le immagini che giungono da Tripoli per notare che la gran parte dei manifestanti è composta da giovani: quelli che non hanno ceduto a Tunisi e al Cairo, quelli che hanno poco da perdere anche in Libia. Berlusconi ha dovuto fare i conti con il massacro di Tripoli, ha finalmente detto di considerare «inaccettabile» l’uso della violenza contro la popolazione civile e ha messo in guardia contro la disgregazione dello Stato libico. Meglio tardi che mai, visto che quando a Bengasi si sparava già sulla folla, lui non voleva «disturbare» Gheddafi.

Fine anche di un silenzio che rasentava una scommessa azzardata, non sufficiente a proteggere i nostri interessi, ma certo contraria ai valori della nostra democrazia. La «discrezione» di Berlusconi ci aveva per qualche tempo allontanati dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dalla Germania che in diverso modo avevano tutti condannato duramente il Colonnello e le imprese dei suoi seguaci. Nascosti dietro una poco credibile volontà di «non ingerenza», fino a ieri abbiamo tentato di trascurare quei principi umanitari nei quali proclamiamo di credere. Poi il presidente del Consiglio ha rimediato. In verità Berlusconi è anche stato costretto dal fatto che Gheddafi ci ha chiamato in causa per dimostrare la sua forza ed ha urlato al suo popolo «io sono quello che ha costretto l’italia a baciarmi le mani». Resta ormai solo da domandarsi se siamo in tempo a recuperare la nostra immagine e se, in caso di cambio della guardia, il nostro ritardo nel comprendere di che pasta fosse il dittatore, non possa farci pagare un prezzo proprio sul piano degli interessi, oltre che su quello dei valori umani. Il favore della gente si sposta spesso dalla parte di chi, in quel momento, è vittima di un potere più forte. Adesso si è spostata in favore delle vittime di governi dispotici e crudeli. Dietro il nostro “ritardo” potrebbe esserci stato un tenace perseguimento dell’utile proprio: in tempi diversi si parlava di camaleonti e il termine conteneva un giudizio spregiativo, adesso lo si è nobilitato ed è diventato Realpolitik.

3 commenti su questo articolo:

  1. Mimmo Sclafani scrive:

    Cara Daria, brava non era facile parlare di una situazione al momento così fluida,i libici ricadranno nella diiatura o troveranno la libertò, e che tipo di libertà? grazie comunque di aver accennato appena senza approfondire l’analisi, non è il momento. Dandoci comunque valutazioni profonde.

  2. Donata Burgio scrive:

    Cara Daria, parlare in questo momento si possono dire solo sciocchezze e tu le hai dette! Dovevi aspettare

  3. una lettrice scrive:

    A parte che Donata Burgio non si esprime in corretto italiano ed è fin troppo facile notarlo…. vorrei aggiungere che se c’è qualcuna che dice sciocchezze, questa è proprio lei!

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