Habemus papam, psicoanalisi e tranquillanti nel film di Moretti
Il film di Nanni Moretti, Habemus Papam, ha scatenato la furia del giornalista vaticanista Salvatore Izzo che, dalle pagine de L’Avvenire, suggerisce di boicottare la pellicola. L’esortazione, però, non ha sortito gli effetti desiderati, perché il film di Moretti continua ad avere consensi. Contrariamente alle aspettative “pubblicitarie” innescate da questo tipo di critica, dalla quale ci si sarebbe potuto anche aspettare un’approfondita analisi socio-politica delle meccaniche vaticane (più o meno occulte), il film è un’intelligente, garbata e, a tratti, anche molto divertente comédie humaine, alla quale va invece riconosciuta la sottile e incisiva capacità di sottolineare tutto l’aspetto umano dell’imponente universo clericale. Oltre ad essere un prezioso spunto di riflessione per la chiesa, in una società che ha di fronte problemi come l’immigrazione, la fame, e l’imperante crisi dei valori, vale forse la pena di estrapolare, dai numerosi contenuti, il tema della responsabilità, le bizzarre dinamiche della psiche umana e i conflitti interiori dell’animo umano di fronte ad essa.
Habemus Papam apre la lettura di una parabola esistenzialista. Nonostante il protagonista sia addirittura il Papa, il concetto di Responsabilità nel film coinvolge tutti gli attori, a partire da coloro che nelle prime scene sussurrano la speranza che non tocchi a loro di essere eletti papa. Responsabilità, psicoanalisi e tranquillanti, è un’altra lettura del film che si apre alla riflessione sulla nostra enorme e crescente incapacità di assumerci responsabilità, e di ammettere la nostra inadeguatezza. Dalle alte alle basse sfere, vengono messe a nudo dipendenze e abusi di tranquillanti, un’esigenza che sembra ormai far parte della nostra routine, vissuta con un ritmo in cui, peraltro, è lo stress a scandire il tempo. La paura di assumerci incarichi e responsabilità superabile, a volte, solo attraverso una finzione (non a caso nel film si mischiano teatralità e nevrosi) porta a considerazioni più profonde sulla psicoanalisi e l’uso di psicofarmaci, entrati a far parte della nostra vita senza che ce ne accorgessimo, così come “depressione” e “crisi di panico” sono ormai concetti usati e abusati. I blocchi emotivi che ne conseguono sono soltanto il sintomo più evidente dell’impossibilità di essere se stessi, dell’incapacità, non tanto di assurgere a ruoli imposti, quanto di ammettere di non esserne capaci. Un’infinita umanità, nel film, viene espressa nel tanto atteso discorso di un papa che dichiara, onestamente, di non sentirsi all’altezza del ruolo di pontefice. Tanto stupore alle alte sfere, e tanto smarrimento nella folla quando una verità infrange le aspettative e squarcia il velo di formalismo e ipocrisia a cui siamo abituati. Quanto terrore di fronte a un uomo che, con coraggio, ferma il corso di un’ascesa immeritata e rinunzia a un ruolo superiore alle proprie capacità per continuare a vivere quella vita che sente a sua misura, né più, né meno. Ma quanti errori, se ciò accadesse, si potrebbero evitare!
Condivido la visione del film, le interpretazioni, la conclusione, per me cara Daria hai centrato l’essenza dell’espressività di Mretti