esiste una immunità di ceto?
Questo evidentemente pensava Callisto Tanzi, che – entrando a metà maggio in carcere con occhi sbarrati, pare abbia detto: «Cosa ci faccio qui?». Come se il carcere fosse un luogo non per gente come lui, ma solo per i derelitti, privi di sostegno e di avvocati; ma non per il “re del latte” di Colecchio, abituato a frequentare politici potenti ed a viaggiare su jet privati. Il quale però, presidente della Parmalat, ha emesso azioni fasulle, ha consentito che il direttore finanziario della sua società s’inventasse quattro miliardi inesistenti, ha truffato 32.000 risparmiatori. Condannato (per aggiotaggio, falso in comunicazioni, bancarotta) a dieci anni di reclusione in prima istanza, la pena gli è stata ridotta in Cassazione ad otto anni, che egli pensava di non dover scontare in carcere . «Mi hanno dato una pena troppo severa – ha dichiarato – Non pensavo più di tornare in carcere. Proprio non me lo aspettavo. Che ci faccio qui, alla mia età?». Non fa piacere vedere in carcere un uomo anziano e malato; ma non si può pretendere una pietà particolare per chi è stato ricco e potente. Nella cella singola all’interno del carcere di Parma (presso il Centro clinico) dove il Tanzi è stato recluso, i suoi vicini sono Bernardo Provenzano, Francesco Bidognetti e Filippo Graviano…
Deve fare impressione rendersi conto che si è, né più né meno, come un mafioso …
La pietà (che comunque dovrebbe valere per tutti) è temperata dalla considerazione positiva che le cose cominciano a cambiare in direzione di quella che dovrebbe essere (e non sempre è) la giustizia: di fronte ai reati accertati, non ci sono “immunità di ceto”.
L’arroganza del potere economico e politico non ha fine…
La pietà è un sentimento prezioso che va indirizzato a chi non si sa difendere, a chi è vittima.
Purtroppo, non riesco a guardare al Sig. Tanzi come una vittima, ma più come un carnefice che ha fatto molti danni a chi si è fidato della sua persona. Si assuma le responsabilità e le conseguenze delle sue azioni.
Così potrà guardare a se stesso, quantomeno, con una maggiore dignità.