in morte di un assassino
E’ morto, ammazzato, come era quasi certo. Con lui si chiude una fase, con lui si sotterrano informazioni forse fondamentali per la lotta al terrorismo e segreti che mai saranno rivelati, e si aprono nuovi scenari, difficilmente esenti da altro sangue.
Giustamente sul blog di Repubblica Zucconi titola il ‘La testa del serpente’, e il pezzo si conclude considerando che facile è uccidere un uomo, più difficile far morire le idee che ne hanno armato la mano assassina, pronta ora a trasferirsi in altre mani, altri corpi trasformati in esplosivi di sangue, carne e bulloni, a continuare la catena del sangue, della vendetta spacciata per giustizia.
Guardo le immagini dei festeggiamenti negli Usa, quei vigili del fuoco, così dolorosamente e coraggiosamente protagonisti nei giorni dopo l’11 settembre: vedo facce di uomini giovani e meno giovani, che levano le braccia e fanno il segno della vittoria; cartelli che ringraziano dio, scritte che dicono che ‘giustiza è fatta’, finalmente.
Vedo la foto del volto tumefatto di quello che forse è Osama Bin Laden e forse no, e penso a come si sentiranno le migliaia di familiari delle vittime delle due torri: saranno davvero sollevate nel vedere finalmente morto uno dei principali responsabili della carneficina nella quale i loro cari sono periti?
Mi auguro che un pò di sollievo ci sia, perché è umano sentire odio verso chi ci ha strappato dalle braccia e dalla vita chi amiamo. Ma chiunque abbia perso una persona cara in modo violento per mano assassina sa che l’odio non riporta indietro dalla morte.
C’è qualcosa che però cambia e di molto, a seconda di come l’umanità sceglie di fronteggiare la violenza e l’ingiustizia.
Il presente e il futuro prendono una piega totalmente diversa se sono costruiti a partire da una mozione di odio, di sangue, di vendetta, oppure da una che sceglie il tribunale, la giustizia della legge, della parola e non delle armi, e che rifiuta la logica dell’occhio per occhio.
Mors tua vita mea è la logica che muove il terrore, il fanatismo di ogni matrice, declinato e incarnato nelle decine di guerre dichiarate sia dagli stati che dai gruppi laici e religiosi che si autoeleggono a guida di presunte rivoluzioni che, tutte in egual misura, insanguinano il mondo.
Nelle formazioni e seminari che ho occasione di condurre cito sempre l’esempio delle Donne in nero, che scelsero di sostituire alla logica della vendetta del sangue, del mors tua vita mea, della legge del taglione la logica dell’empatia del sangue, del vita tua vita mea.
Loro, donne su due versanti di lutti e violenze opposte, in terra palestinese e israeliana, scelsero di provare a ragionare a partire dal conflitto non armato, puntando sul corto circuito della logica mortale e vendicativa: «So cosa si prova a portare un lutto, potrei decidere di imporlo anche a te a risarcimento del mio; scelgo di spezzare questa logica, perché ci sono passata, e provo a interrompere il flusso di sangue».
Ora che nessuno potrà più portare Osama Bin Laden a processo, e giudicarlo per tutto il sangue, la morte, il dolore e l’orrore che ha provocato con il suo bagaglio di odio, mi torna in mente l’emozione del monologo finale del film “Senza apparente motivo”, scritto e diretto nel 2008 da Sharon Maguire, e interpretato da Michelle Williams, che davvero vi consiglio.
La protagonista è una giovane donna che non ha mai fatto politica, il cui figlio di 7 anni muore nello scoppio di una bomba messa in uno stadio da Al Qaeda. La giovane madre si rivolge, in una lettera, direttamente a Osama, all’assassino di suo figlio, con parole semplici che difficilmente potremmo ascoltare da chi ha il potere.
Vi trascrivo il testo, che potete anche ascoltare qui: http://www.youtube.com/watch?v=QYji3VLZub0; sono parole ferme, salde e coraggiose, che meglio di altre possono aiutarci a descrivere un modo diverso di affrontare la violenza dentro e fuori di noi.
«Mia nonna mi portò a vedere il museo dell’incendio di Londra e noi ci abbiamo portato nostro figlio. La gente pensava che quella fosse la fine del mondo, ma il mondo non finì. In tre anni ricostruirono la città più forte e più alta. Londra è stata ricostruita sulle sue stesse rovine, Osama, è resuscitata ogni singola volta: le tempeste l’hanno devastata, le inondazioni allagata e la peste l’ha marcita ma nemmeno Hitler l’ha distrutta. Un mare di fiamme, diceva mia nonna, ma noi siamo tornati come gli zombi e abbiamo edificato sulle macerie. Io sono la città, Osama, io sono il mondo intero: ammazzami con le bombe e io mi ricostruirò ancora più forte. Qualcuno dice che sei un mostro malvagio, ma io non credo nel male, Osama, il tango si balla sempre in due. So che sei arrabbiato con i leader dell’occidente, vuol dire che scriverò anche a loro.
So che sei un uomo intelligente, Osama molto più di me. Ma se vedessi mio figlio col tuo cuore anche solo per un momento la smetteresti di fare buchi nel mondo a forma di bambino, ti renderebbe troppo triste. L’amore è non arrendersi, Osama. L’amore è straripante, coraggioso e assordante e rumoroso, è il fracasso che faceva mio figlio quando giocava con le sue macchinine; vorrei tanto che tu l’avessi sentito Osama, è il suono più potente e più forte della terra, risuonerà più potente per sempre perché è più assordante del rumore delle bombe. Vieni da me, Osama, vieni da me e faremo esplodere il mondo con frastuono e furore».