a Terence Malick il Palmares di Cannes

26 maggio 2011 di: Giusi Catalfamo

Astonishment, è l’unico vocabolo che mi viene in mente nel provare a descrivere sentimenti sensazioni stupore meraviglia incanto. Immagini che ti rapiscono e ti fagocitano, dove tu non esisti più, e sei solo parte del tutto, quel tutto che si chiama universo, e che si chiama vita. Non è facile parlare di un film come The Tree of life, non è facile descrivere una sinfonia di luce suoni colori, sentimenti. C’è la famiglia O’Brien, con i suoi conflitti, le sue rigidità, il suo amore. Una famiglia della provincia americana degli anni ’50; c’è un padre, solido, roccioso, un po’ troppo ortodosso con le sue regole ferree, con i suoi totem religiosi, con i suoi sani principi, pretende che i figli lo chiamino signore, e la loro ubbidienza cieca, ma non è violento, almeno nel senso fisico del termine, un padre quasi padrone, ma attento ai figli, alla loro crescita, alla loro evoluzione. In questo senso rende molto bene la locandina del film, quei piedini teneri, e lo sguardo di commossa curiosità di Brad Pitt, il capofamiglia degli O’Brien, ma che può essere un qualsiasi padre davanti alla nascita del suo primogenito.

C’è una madre, tenera e discreta, ma non troppo, delicata e forte. Ci sono dei figli, uno in particolare in eterno conflitto col padre, il suo nome è Jack ed è il vero protagonista, lo vedremo adulto, nello sguardo doloroso di Sean Penn, davanti a grattacieli altissimi e ponti aerodinamici. E c’è una morte, non la vediamo, ma c’è e attraversa tutto il film, nell’eterno rimpianto di Jack, quello che ha fatto, quello che non ha fatto, quello che avrebbe potuto fare e non ha fatto; e la vediamo nel dolore dei genitori, un dolore intimo, contenuto.

C’è anche un aldilà, molto terreno, una grande spiaggia dove alla fine tutti si incontrano, in una bellissima sequenza di mani che si intrecciano e si sfiorano, sono tutti vivi o tutti morti, non si sa, ma si riconoscono e si amano. Ma c’è, su tutto sovrastante l’universo, la natura allo stato primordiale, il suo evolversi, immagini bellissime e terrificanti, vulcani che esplodono, oceani che travolgono e divorano ogni cosa, e poi c’è la rinascita in un’altra dimensione. E c’è l’altra natura, quella rigogliosa verdeggiante con i suoi alberi molto alti e i suoi colori incredibili.

Questo è il mondo di Terence Malick e del suo The Tree of life, due ore di grande godimento estetico, che non è solo estetizzante, ma scava invece dentro di te, che chiedi solo un po’ di tempo per metabolizzare tanta meraviglia.. Non stupisce che abbia vinto il Palmares a Cannes.

4 commenti su questo articolo:

  1. Elena Ciofalo scrive:

    Cara Giusi, grazie! Aspettavo il tuo commento sul film, non sapevo se sarebbe arrivato sul cartaceo o online e invece la mia attesa si è rilevata meno lunga per fortuna. In realtà ho provato anche io ad affrontare l’ardua impresa di recensire un film così intenso e carico. Ho chiaramente demorso e la mia sarebbe impallidita di fronte alla tua di recensione, che condivido completamente. Inoltre aggiungo – vediamo che ne pensi – che la chiarezza in questo film è spiazzante. Le voci fuori campo che interrogano il supremo (dove sei? chi sei? perchè fai questo?) sono eloquenti nell’esprimere spiritualmente i dubbi che partono dai fatti dell’intreccio. Però appunto è questa chiarezza che lo rende inclassificabile, pieno e vuoto insieme, sfuggente alla comprensione “critica” ma assolutamente comprensibile dal punto di vista di quella “didattica”, nonchè di quella semplicemente “estetica”. Nei prossimi giorni vedrò tutti gli altri film di Malick, è davvero un fuoriclasse!

    • Giusi scrive:

      Cara Elena, sono contenta di aver trovato qualcuno a cui questo film è piaciuto senza se e senza ma e il fatto che sia stata tu mi fa ulteriormente piacere. Per quanto riguarda il divino che lo attraversa, potrebbe essere solo la coscienza attiva che si interroga e si dà o non si dà risposte. Quello che io ho trovato straordinario è questa dimensione dell’assoluto, (parlano le immagini straordinarie), che però si realizza anche nelle piccole cose, come i piedini davanti allo sguardo intenerito e commosso ma anche la natura nella sua estrema delicatezza e forza. Sono contenta che sia stata tu e in fondo me l’aspettavo, se devo proprio essere sincera

  2. Rosanna Pirajno scrive:

    ho visto il film ieri pomeriggio e sono rimasta, come dice Giusi, astonished ma anche confusa e commossa dal pensiero che si possa, o forse si debba, sublimare nella natura e nell’assoluto il dolore altrettanto assoluto della morte di un figlio, di una figlia che avrei potuto incontrare su quella spiaggia sublime …

  3. Giusi scrive:

    Cara Rosanna, spero che tu legga questa mia risposta arrivata fuori tempo massimo. Ci tengo a provare a darti, tra mille dubbi, le mie risposte. Non so se ci sia una bella spiaggia dove poter incontrare i nostri cari, lo spero naturalmente, ma non è poi così importante. Quello invece che mi interessa e di cui sono quasi certa, è che se non c’è la spiaggia, c’è e resta la memoria. Quella, spero sopravviva e duri in chi se n’è andato, in chi resta. Ed è la sola chiave che ci permette di continuare a comunicare, perchè rifiuto di credere che tutto finisca in un momento, seppellendo ricordi e percorsi comuni. E allora perchè non contnuare a comunicare? Anche se non c’è una spiaggia su cui camminare insieme.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement