Riflessioni sul precariato
Con questa interessante e lucida riflessione sul precariato, diamo il benvenuto a Luthien, nuova voce di Liberissime.(St.Sa.)
«La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, nunzia dell’antichità», ma Cicerone ancora non sapeva che un giorno la storia sarebbe diventata anche precaria, testimone di un fenomeno umano che, come tutti, avrà una fine ma di cui ancora oggi non si riesce a vederne l’orizzonte.
Sono nata in una terra piegata da sempre dal clima, dal vicariato nel Medioevo, dalle fabbriche al Nord nell’Ottocento e, negli ultimi quarant’anni, da una nuova forma “legale” di sfruttamento: la precarietà del lavoro.
Negli anni ‘70 del XX secolo, l’incontro tra domanda è offerta è scivolato sempre più verso il fraintendimento dell’accezione di “lavoro”: trasformando il diritto in una preghiera rivolta allo Stato e agli enti privati; in modo da porre la popolazione lavorativa in una posizione di sudditanza nei confronti degli erogatori di lavoro. Una posizione in cui il lavoratore si trova costretto ad accettare qualsivoglia tipo di contratto che, nella maggior parte dei casi, va a ledere direttamente i diritti alla famiglia e indirettamente i diritti individuali, ponendo il lavoratore nella posizione di difficile gestione, per cui sulla carta non risulta disoccupato ma con stipendi dimezzati e ritenute fiscali inesistenti, all’individuo non sono concessi gli strumenti adeguati per sostenere le spese richieste dalla società. Il risultato è l’immagine di un soggetto economico annichilito dallo Stato, questo cerca di ammodernare i rapporti di lavoro emulando economie elastiche e flessibili europee, ma senza un reale supporto dall’originaria economia rigida italiana, dove rapporti di precariato non sono salde fondamenta su cui costruire, ma fragili pilastri di carta scossi dal vento del potere contrattuale
In altri paesi europei la perdita o mancanza di lavoro sono gestite in modo da consentire al lavoratore rimasto disoccupato(mediante contributo economico) la frequenza di corsi di qualificazione ,creati IN RISPOSTA AI BISOGNI di manodopera qualificata, ma anche di impiegati e di professionisti,da parte delle aziende e organizzati con la collaborazione delle aziende stesse.Il fallimento dei “nostri” corsi di qualificazione professionale trova una spiegazione proprio nel mancato legame con la realtà lavorativa del territorio…i nostri percorsi formativi finiscono per alimentare ulteriormente e ingigantire…la selva dei disoccupati….quando,finiti i corsi,anche docenti e personale vario si troveranno senza occupazione….E’ chiaro quindi che tutto va organizzato e gestito a monte con una adeguata,seria e vincolante “lettura del territorio” oltre che con opportuna normativa …..E veniamo all’anello più fragile della catena: I GIOVANI a cui una politica, per niente accorta in tal senso, sta non solo togliendo il futuro ma sta scaricando proprio su un futuro, più o meno remoto,tantissimi problemi che già oggi risultano irrisolvibili…e che domani diventeranno …ancora più gravi…E chiaro che alla base di tutto c’è un problema di moralizzazione : finché la politica verrà gestita…mirando al proprio tornaconto o ,al massimo, a quello di amici e parenti …finché le persone oneste…resteranno fuori …dalla bolgia della politica ….e finché non impareremo a gestire in modo oculato il nostro voto…..l’unico nostro strumento per…cambiare le cose…(non certo dato in cambio di …eventuale sistemazione personale!!!!)….NIENTE CAMBIERA’….TUTTO RESTERA’ COME PRIMA…..ANZI PEGGIORERA’
Ciao Giusi,
scusami se ti rispondo solo ora ma non ho avuto un momento per sedermi con calma al pc in questi giorni…
io sono pienamente consapevole del fatto che tutti quanti siamo coinvolti in una situazione economica e lavorativa aberrate e concordo perfettamente con la tua rabbia. Io mi sento giornalmente “violentata” dallo Stato e con una prospettiva di tante altre violenze che subirò io (come l’intera collettività), tuttavia, mi sembra prematuro arrendersi a questo stato di cose; può darsi che sia ingenua come posizione da adottare nel contesto, dato che mi sono affacciata da pochi anni al mondo del lavoro, ma mi considero una pedina di un gioco perverso dove se non giochiamo ,tutti insieme, non possiamo mai sapere che esitò avrà. Cosa ci rimane da fare se non remare contro questo gioco perverso? io credo e “VOGLIO” credere che l’essere umano non sia così infimo e che prima o poi questo stato di cose, a poco a poco e con i suoi tempi, potrà cambiare e volgere al meglio. Per cambiare la collettività devo avere fiducia,necessariamente, nelle potenzialità dell’uomo e credo, pertanto, che l’umanità abbia bisogno di credere in se stessa per poter migliorare. Me lo auguro almeno…