Ditta licenzia dipendente in coma: proteste ma anche qualche domanda
Inviare una lettera di licenziamento ad una propria dipendente, da oltre un anno in coma, è stato certo un atto freddo e burocratico da parte della impresa (la “Nuova Termostampa”, di Bergamo, con 90 dipendenti) dove la donna lavorava da oltre 16 anni. Ma si pongono anche alcune domande, cui non pare abbiano tentato di dare risposta né i sindacati (la Cgil si è rivolta al giudice del lavoro chiedendo la reintegrazione della dipendente), né i parlamentari locali (che hanno presentato un’interrogazione al Ministero del Lavoro, che a sua volta ha disposto un ‘inchiesta).
La domanda principale è questa: il caso tragico della donna in stato vegetativo può essere caricato, finanziariamente, sull’amministrazione della ditta, presso cui la sfortunata lavorava? E’ giusto mettere alla gogna la piccola impresa (si è parlato di “decisione irresponsabile”, di “segnale di disumanità”, di “dignità della persona schiacciata dal profitto d’impresa”, ecc.) e non andare invece alle radici del problema? Non occorre sollecitare e pretendere in un caso così estremo l’assunzione di una responsabilità collettiva, anche per l’aspetto finanziario, da parte dei servizi sociali e dello stesso Ministero della Sanità? Cosa si è fatto in proposito fino adesso?
Maria Nella Manzoni, amministratrice delegata della azienda, ha reagito parlando di “informazioni altamente devianti dalla realtà dei fatti e lesive dell’immagine aziendale”. Forse andrebbe ascoltata anche lei.