nessuno tocchi Caino, neppure in Libia

1 settembre 2011 di: Simona Mafai

Pur consapevole che mai come nelle vicende libiche si siano intrecciate insieme sacrosante istanze di libertà e brutti tradimenti trasversali (per cui è opportuna la massima prudenza nei giudizi), una affermazione mi sento di farla: nel nuovo millennio, mentre si cerca faticosamente di fissare una cornice giuridica neutra universale, nessun uomo pubblico può impunemente dichiarare: «Abbiamo diritto di uccidere». No. Non esiste un diritto internazionale ad uccidere.

Omar Hariri, alto responsabile militare del Cnt (Consiglio nazionale di Transizione della Libia), ha invece pubblicamente affermato: «Il rais deve essere messo nelle condizioni di non nuocere; e se per fare questo dovrà essere assassinato, allora ci sarà qualcuno che gli toglierà la vita». Nessuno si domanda (anche se la domanda sarebbe legittima) se Omar Hariri sia stato fino a pochi mesi fa – come altri suoi colleghi – componente dello staff politico-militare dello stesso Gheddafi (e quindi non estraneo alla politica sanguinaria del dittatore assediato). Quello che si afferma è che il rispetto dei diritti umani – sempre e comunque – è oggi da considerarsi un obbligo internazionale, da cui nessun popolo può esser esonerato. Chiamare in causa, per escludere un popolo da tale obbligo, antiche culture o persistenti immaturità, sarebbe una affermazione razzista malamente camuffata.

Giustissima pertanto la richiesta fatta dall’Osservatorio per i diritti umani (Human Rights Watch) ai leader politici del mondo riuniti a Parigi nella conferenza internazionale pro-Libia, perché chiedano alle nuove autorità del Cnt di consegnare Gheddafi (nel caso in cui fosse catturato) al Tribunale internazionale dell’Aja.

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