novità dalla Biennale Spettacolo
Domenica si è chiusa, a Venezia, la Biennale Spettacolo che ha avuto il solito successo di pubblico. E’ difficile a Palermo essere al corrente delle nuove proposte degli spettacoli di prosa, le poche compagnie che fanno tappa in quello che resta dei nostri teatri portano spesso testi obsoleti e non si distaccano dagli autori tradizionali e dalle messe in scene classiche. Se il teatro non viene da noi abbiamo deciso di andare noi da lui. Abbiamo così incaricato la nostra inviata dal Veneto, Rita Annaloro, di raccontarci in breve i testi presentati e le vie percorse dai registi del momento. S.F.
Se si guarda alla rassegna di spettacoli presentati al Festival della Biennale Teatro di Venezia per orientarsi sulle tendenze emergenti in ambito teatrale, si vedrà un solido aggancio alla tradizione per quanto riguarda i temi: da “Hamlet” (regia di Ostermeier) a “Prometheus landscape” (regia di Fabre) da Allan Poe e Walser, “Voci disperse nella nebbia” di Desaparecer (regia di Bieito) a “Woyzeck” (regia di Nadj); poche sono le novità, perché anche “Isabella’s Room” (regia di Lauwers), il “Concetto di volto nel figlio di Dio” (regia di Romeo Castellucci), “el Box” (regia di Ricardo Bartis), e “Osso” (regia di Virgilio Sieni) trattano situazioni già viste in palcoscenico, dalle memorie di una anziana, al rapporto uomo-Dio o padre-figlio. Anche il mondo della boxe ha già dei “classici” in repertorio, come “Sucker Punch” di Roy Williams o “Lay me down softly” di Billy Roche che hanno primeggiato a Londra nelle recenti “stagioni” teatrali e persino l’acclamato “Bodenprobe Kasachistan” di Rimini Protokol, aldilà dell’apparente esoticità dell’ambientazione, ci mostra le storie tribolate di gente comune nell’arco di 50 anni, niente che non si sarebbe potuto fare con un buon documentario. Infatti il collettivo teatrale di Stefan Kaegi, Helgard Haug e Daniel Wetzel, vincitori del Leone d’Argento, si propone col suo docu-drama di far riflettere sui problemi legati alla globalizzazione, come nel caso dello sfruttamento del petrolio in Kasachistan, sovvertendo le regole stesse del fare teatro: gli attori sono i veri protagonisti di quelle vicende che in scena mimano azioni realmente compiute nel corso della loro vita, vissuta in luoghi che compaiono alle loro spalle su un maxi-schermo dove loro si muovono e con cui interagiscono.
L’influenza del cinema o della televisione è evidente, così come la danza o la musica in tutti gli spettacoli; musica di sottofondo, più o meno dodecafonica in “Prometheus” e “Hamlet” o canzone, nostalgica o folk in “Isabella’s room” o “Bodenprobe Kasachistan” e la danza, o il movimento gestuale che in qualche caso diventa esso stesso il linguaggio del testo, come in “Osso” di Sieni. Ovunque emerge in chiave ironica o drammatica l’angoscia del nostro tempo, dove brancoliamo incerti, delusi e impauriti.
Peccato che tutto si debba riassumere in poche righe ma un tuffo nella prosa degli altri -dato che di tutto questo noi siciliani non sappiamo nulla- allarga gli orizzonti, un grazie alla nostra collaboratrice veneta
Devo dire che essendo così lontani dagli itinerari degli spettacoli non è facile capire ma almeno sappiamo quello che succedo lontano da noi, qualche nozione in più non guasta.
Anche nei cartelloni dei teatri del Nord-Est questi spettacoli non compaiono purtroppo, perchè gli impresari ritengono
che il pubblico degli abbonati non li apprezzerebbe, e forse non sbagliano.
Amo la prosa ma vivendo a Palermo è un amore frustrante, un grazie e un abbraccio all’Annaloro.
Esiste ancora lo spettacolo, esiste una biennale per lo spettacolo? Chi l’avrebbe mai detto? Gli spettacoli del Biondo non lo facevano prevedere, comunque anche questo teatro quest’anno chiude.e si va sempre più indietro.