orrore e viltà nella guerra al raìs
La fine di Gheddafi, letteralmente fatto a pezzi, resterà per lungo tempo nella nostra memoria e nella nostra coscienza. I più anziani (e acculturati) ricorderanno molti esempi antichi (e recenti) di dittatori, re e governanti, spodestati e brutalmente uccisi. Ma nella morte di Gheddafi c’è qualcosa di orrido in più, anche perché abbiamo alle spalle – dalla fine del secolo scorso ad oggi – campagne planetarie per i diritti umani e contro la pena di morte. Certo i rivoltosi libici non hanno il dovere di conoscere queste campagne, tanto meno di adeguarvisi. Ma i capi dei governi e i leader delle Nazioni Unite, sì. La diplomazia mondiale poteva fare qualcosa perché la fine del dittatore fosse meno atroce ed offensiva per tutti e tutte? Qualcosa non era stato proposto dalla Unione Africana?
Oggi la lettera di Gheddafi a Berlusconi, pubblicata il 23 ottobre dalla stampa francese, e datata i primi di agosto – quasi due mesi e mezzo fa – mi colpisce (ci colpisce?) violentemente. Berlusconi, bersaglio di tanti attacchi ed ironie per la sua “amicizia” con Gheddafi, non poteva questa volta mettere a frutto il male per tentare di raggiungere un bene, proponendo e favorendo concretamente una via d’uscita civile? Lo ha fatto, lo ha tentato? Non risulta. Certo, ci voleva coraggio, anche perché l’opposizione lo stringeva ogni giorno senza indulgenze né sconti. Questo coraggio non lo ha avuto. Dopo anni di contatti disinvolti e baciamani ambigui, Berlusconi ha confermato la sua sostanziale pochezza, tenendosi da parte durante tutta la dolorosa vicenda, per commentare alla fine una morte così orrida dicendo «Sic transeat gloria mundi». Banale ed arcinota sentenza latina.
Sono d’accordo con te ed è difficile da dire visto che, per l’esperienza e la cultura che hai, non posso che mantenere una distanza dovuta al rispetto.
La cosa più triste della vicenda libica è stata, per me, la visione di questo linciaggio. Ho pensato spesso a tutti gli italiani e le italiane che, attraverso i loro schermi televisivi, hanno assistito a questa orribile fine e mi sono chiesta se davvero possiamo ritenerci civili. Me lo ero chiesta anche anni fa, studiando Piazzale Loreto. Quale Italia è stata protagonista di quell’episodio, nel lontano 1945? Le minoranze che hanno combattuto per la democrazia o il popolino, dalla concretezza inutile degli istinti bestiali? Ancora non trovo risposta ma vedo che, questo popolino, reso ancora più truce dalle rappresentazioni che forniscono i media, è più forte di qualsiasi campagna per i diritti umani e contro la violenza.
Gheddafi aveva affari in corso un po’ con tutti i capi di stato, forse la sua morte è servita a nascondere situazioni in verità già nascoste, in quanto a Berlusconi peggio di così non poteva comportarsi, l’abbiamo disprezzato quando aveva baciato la mano al tiranno ma se avesse cercato di difenderlo ora forse l’avremmo stimato.
No, non sono d’accordo con Paolo la rabbia umana ha preso il sopravvento più di un diktat internazionale, in quanto a Berlusconi vorrei adoperare la sua frase “Sic etc etc ” per lui ma in verità la gloria lui non l’ha mai conosciuta!
condivido l’articolo di simona mafai, non ci sono parole per definire il linciaggio di un essere umano, fosse anche un assassino come il rais che avrebbe dovuto subire un processo e non questo vergognoso linciaggio che alla fine rischia di togliere valore ad ogni sana rivoluzione.
Aggiungo che non apprezzo né condivido la denominazione di “POPOLINO” che m. geraci utilizza in modo, a mio parere, improprio, anacronostico e dispregiativo. Anche il “popolino” ha una dignità che va rispettata, “Popolino” è un termine che un tempo veniva usato in senso classita e razzista. Oggi non è accettabile.
Mi dispiace utilizzare lo spazio di Simona Mafai ma è opportuno precisare alcune cose. Ho molto rispetto delle piazze e delle istanze che provengono da cortei e manifestazioni. Ho rispetto dei cambiamenti voluti dal popolo libico e non ho mai nutrito simpatie nei confronti di Gheddafi, anche in relazione alla linea che, in materia di immigrazione, il raìs ha concordato con l’Italia.
Non mi piacciono però le folle impazzite, soprattutto quelle che si rendono protagoniste di episodi orribili come quelli che stiamo discutendo. Voglio quindi precisare che, nella mia definizione di “popolino”, non volevo essere classista. Non credo infatti che il gusto per la violenza, anche quella televisiva, riguardi uno strato sociale in particolare o che escluda la gente benestante dal punto di vista economico. Anzi, quanti sono oggi gli epidodi che confermano il contrario? E non volevo essere razzista, anche se penso che il termine più idoneo in questo caso sia “radical chic”. Non volevo essere nè razzista e neanche radical chic. Mi consenta però, Lucilla, di rivolgerle una domanda. Come definirebbe i protagonisti di questo gesto?
Non li definirei mai “popolino”, cara marcella, i violenti che hanno attentato alla pacifica manifestazione romana per esempio: i black bl. non erano certo “popolino” come non sono popolino tutti coloro che fuori da ogni forma di legalità minano la società alle radici. La violenza è anche nell’alta borghesia, nei figli di famiglie “bene”; ricordati del circeo in tempi diversi da quelli di oggi e la strategia della tensione, le brigate rosse, i fascisti e quanti si sono macchiati di reati gravissimi. Non potrei mai definire “popolino” i laureati in sociologia e i teorici della lotta armata negli anni di piombo. La violenza anche la più deprecabile non può essere ascritta al “popolino” nel senso in cui tu utilizzi il termine. La violenza nella peggiore sua degenerazione è stata ed è, in certi periodi storici particolarmente, all’interno della società.
Ho infatti sottolineato nel mio commento che la violenza, anche quella televisiva, non è una pratica confinata ad uno strato sociale particolare, anzi. In questo concordo pienamente con lei. Non mi azzarderei però ad assimilare la folla che ha commesso un linciaggio ai black bloc della manifestazione romana, ai brigatisti e ai teorici della lotta armata. Sia chiaro, prendo le distanze da black bloc, brigatisti e teorici, ma si tratta di fenomeni assolutamente differenti. Concordo nuovamente in merito al fatto che la violenza si sviluppa all’interno della società, proprio per questo mi piacciono le piazze ma non le folle impazzite. Lei continua a non gradire il termine “popolino” e però non dice come chiamerebbe la folla del linciaggio. Devo riconoscere che mi ha stimolato ad approfondire un tema interessante come quello della violenza e di questo la ringrazio.
purtroppo rattrista vedere come si preferisca distogliere l’attenzione dalla luna e guardare al dito. Sarà sicuramente interessante la diatriba etimologica sull’origine, il significato e l’opportunità dell’utilizzo del termine popolino. anche se mi pare sia stata innescata in maniera decisamente artificiosa. del resto, a voler aprire una parentesi, non vedo altro termine da utilizzare, rispetto ad una folla impazzita che si accanisce su un uomo (e non si parla di black block, che sono altro, e nemmeno di brigatisti, che sono altro ancora, forse l’unico paragone lontanamente calzante sarebbe quello del mondo degli ultras). ma il tema posto dalla mafai riguardava il rispetto dei diritti umani. e non da parte di un pugno di rivoltosi libici. ma da parte nostra. mi era sembrato di capire che la domanda fosse: siamo, noi, ancora in grado di invocare il rispetto dei diritti umani? siamo ancora in grado di saper definire i diritti umani?
ma probabilmente, ho capito male io.
saluti.
Chiamiamola “folla inferocita”, “violenza tout court” ma, per cortesia, non rispolveriamo dalle ceneri dove è stato sepolto l’appellativo di “popolino”. L’articolo della signora Mafai lo condivido in pieno ma la questione posta sul termine “popolino” ci interroga tutti e sono d’accordo con la Blaschi. Anche a me ha inquietato perché il senso del “disprezzo” atavico su quello che in altri tempi veniva definito “popolino” oggi è veramente discutibile quanto ingiustificato. Esiste il popolo ed una fetta inferocita di quel popolo, per l’appunto, ha commesso un atto inqualificabile. L’aver posto l’accento sul termine usato dalla Geraci non ha tolto valore al pezzo della Mafai né al fatto gravissimo accaduto in Libia. Interrogarsi sull’uso delle parole è un atto a cui possiamo essere chiamati responsabilmente senza per questo perdere di vista il nodo delle questioni, nel caso in specie, il linciaggio del raìs ad opera della folla inferocita che abbiamo tutti condannato.
Ringrazio tutte e tutti per i commenti fatti al mio articolo. Il punto centrale per me non era tanto la condanna degli esecutori materiali del massacro, perché mi rendo tristemente conto che nel fuoco di una guerra civile, con decine e centinaia di morti e di stupri da ambo le parti, non sia facile – per chi ha in mano le armi – esercitare un controllo su di sé, sull’odio crescente, sull’istinto alla vendetta. La mia domanda era piuttosto relativa agli uomini di governo (soprattutto dei paesi “occidentali”, ma anche dei legittimi stati africani), che si sono assunti il carico di sostenere i ribelli (molti, come si sa, ex-collaboratori del dittatore fino a pochi mesi prima), che li hanno a tambur battente legittimati, che hanno fornito loro armi nuovissime, che hanno bombardato residenze e fortini di Gheddafi – e che avrebbero dovuto tenere aperta una via d’uscita civile a chi avevano tante volte stretto (o addirittura baciato) la mano. Certo, l’arroganza e la presunzione di inviolabilità del dittatore ha contribuito a disegnare la tragedia. Che resterà come una macchia orrenda, indegna del nostro secolo, sulla coscienza di governi e diplomazie che si reputano sapienti e civili.