il terrore del metodo corre sul filo della burocrazia
No. Non ci sto. Sono stanca di tutto ciò che riguarda l’organizzazione della politica, quella dei servizi e la burocrazia. Come in politica, anche nei servizi pubblici non si entra quasi mai né nel merito né nel metodo del lavoro. La politica preferisce fare tagli lineari. Così sono colpiti tutti senza fare distinzioni: tutti uguali. E’ la morte delle differenze. Lo strangolamento dell’impegno personale. Tale modalità rappresenta bene la codardia e la superficialità delle azioni dei nostri politici, dei dirigenti e dei tecnici. Si taglia sia ciò che funziona che ciò che non funziona.
Ma che sceltà è? Quali analisi? Che conoscenza hanno delle realtà lavorative? Per chi governa le istituzioni l’importante è non entrare nel merito del lavoro, perché per farlo ci vuole capacità e coraggio, qualità assenti nella quasi totalità dei nostri politici e dirigenti. Sul merito, inteso come riconoscimento personale, nel servizio pubblico ho potuto purtroppo constatare come tale concetto sia praticamente inesistente. Si assiste ad un appiattimento del soggetto: lavora poco o molto, non fa differenza; lavora bene o male, non c’è differenza. Tutto viene lasciato alla libera iniziativa del lavoratore, alla sua volontà, alla stima che ha di se stesso.
Il sistema di incentivazione ricade su tutti. E’ uguaglianza? No. E’ pressapochismo. E’ fallimento certo. Nelle istituzioni è difficile entrare nel merito del lavoro. Se accade, i dipendenti pubblici sollevano scudi. Guai ad avvicinarsi alle questioni di merito. Chi lo fa è ritenuto un sabotatore e non magari un solerte responsabile che vuole capire il cosa, il perché, il quando e il come. Inesistente il concetto di “rendere conto” al proprio responsabile. Sembra un atto provocatorio, quindi non si fa. Si tende a non rendere conto a nessuno. Chi prova a chiedere, spesso, viene contestato, come se compisse un attacco a livello personale. Ma qui siamo sul piano professionale! Guai a confondere i due livelli! Come se il responsabile non avesse il dovere e il diritto di chiedere conto.
Ma ancora più insidiosa è la questione del metodo. Questo è il vero terrore dei burocrati e di molti dipendenti pubblici. Spesso non c’è un controllo oggettivo delle azioni, non c’è un sistema di valutazione riconosciuto, condiviso. Ognuno ha il suo che è sicuramente migliore degli altri. Come se il metodo fosse qualcosa di personale, di soggettivo, non valutabile, non correggibile. Strumento creativo! Spesso i lavoratori si trincerano dietro la frase: «io ho il mio metodo e quindi non puoi entrare nel merito del mio metodo». Penso ai molti insegnanti che ho incontrato. Il metodo, per sua natura, ha aspirazioni scientifiche, quindi ha una natura oggettiva, non soggettiva; deve consentire le misurazioni e le valutazioni delle azioni, degli obiettivi, dei risultati.
Ci siamo. Ecco la parola minacciosa, impronunciabile, che produce attacchi di panico a chi la accenna: la parola è “risultato”. Alla burocrazia interessa poco il risultato, il raggiungimento degli obiettivi, la semplificazione delle procedure, la comprensione del linguaggio. Essa, infatti, è nata per autoriprodursi, quindi già il fatto di esistere è il risultato assoluto per eccellenza. Si incrocia spesso la burocrazia creativa: ognuno fa come crede e come ritiene più opportuno. Dipende dall’ispirazione del momento. E’ una vera minaccia. Una mina vagante. Senza parlare del linguaggio burocratese: è l’apoteosi dell’interpretazione personale dei documenti ufficiali: «a me sembra che voglia dire…» «Io ho capito così…» «Sicuramente non vuole dire questo…, ma quest’altro…». E’ un vero sballo: a buon mercato e sempre a spese del contribuente.