Senza Benzina
Non è stato facile non farsi prendere dal nervosismo generale. É stato come se si toccassero quelle corde, basse anzi bassissime, che ci fanno credere di avere ancora a che fare con il caro homo sapiens che, al chiuso della sua grotta, guardava le sue scorte di cibo ridursi a causa di siccità e carestie.
File interminabili sin dal mattino davanti ai distributori quasi fosse in gioco la vita stessa, quasi si avesse il dubbio di svegliarsi senza domani.
Non è stato facile, dicevo, perché davvero la popolazione palermitana ha dormito davanti alle pompe di benzina, perché davvero gli scaffali erano vuoti e la gente razziava zucchero e acqua minerale per fare una scorta da guerra nucleare.
Non voglio criticare banalmente questo fenomeno, umano, ma mi ha fatto venire in mente un fatto che, nei miei ricordi di bambina, mi ha decisamente colpito.
Nel 1992, durante la guerra del golfo, la mia nonna materna di recente scomparsa e della classe 1918, fece incetta di acqua, latte, zucchero e farina.
Il nostro sgabuzzino sembrava un negozio di alimentari e io, dodicenne in quel periodo, la prendevo un poco in giro. Fu in quell’occasione che mia nonna, che mi raccontava spesso le storie della sua giovinezza, mi regalò un cedolino del pane dell’anno 1943 che aveva gelosamente conservato.
Mi raccontò delle file per il razionamento, del pane impastato con la farina delle carrube raccolte dall’albero e del fatto che lei giovanissima, con un figlio e sfollata, giurò che mai più le sarebbe successo di sentire i morsi della fame. Percepì il dolore, l’impotenza e anche se io, figlia di un mondo con la pancia piena non potevo comprendere quello che aveva provato, capì cosa l’aveva portata a comprare tutte quelle scorte di viveri.
Non è stata la guerra, stavolta, sebbene le guerre ci siano e nascoste dai naufragi da prima pagina (non quelli dei migranti per carità!) ed esistano donne e famiglie che fanno file per il pane e per i viveri, è stata una protesta. Una protesta che non ha tolto il pane a chi lo aveva ma che ha, con violenza, reso difficile la vita della nostra isola per quasi una settimana. Protesta pilotata si dice protesta maldestra e confusa. Protesta di parole sconnesse e brutali che non ha affrontato i veri punti dolenti dei disagi, enormi, che il sud vive e ai quali bisognerebbe con concretezza porre rimedio. Protesta senza testa e con capetti da “presunti” passati ( e presenti), che ha dimostrato come la forza sia l’unica via, che non si desidera un reale cambiamento ma solo agevolazioni, sconti e via dicendo. Pensare, inventare un mondo diverso non interessa a nessuno, e la parola “rivoluzione” ancora una volta, purtroppo, perde il suo senso, calpestata da forconi e da forche allestite anche da chi vorrebbe, gattopardianamente, che ogni cosa cambi perché si rimanga dove si è.
(Originale cedolino di prenotazione di Pane o Farina-Palermo,1943-Foto:Stefania Savoia)
Mi ricordo quando, bambina, mi mandavano a comprare il pane dal fornaio con la tessera familiare che io un giorno persi, senza accorgermene non me la trovai più in mano e fu un dramma, senza pane e senza più la tessera per comprarlo in seguito. Mi sentii investita di una responsabilità enorme, la mia distrazione costò fame e senso di colpa che mi porto ancora dentro. In tempi di vacche grasse sembra tutto facile e dovuto, ben vengano i ricordi delle nonne a ridimensionare le nostre sicumere. Brava Stefania.
“Protesta di parole sconnesse e brutali”, bravissima.
Bella l’allusione al cedolino per il pane, è riaffiorato anche nei ricordi di quando mia nonna mi raccontava i disagi della guerra. A me questa follia collettiva per la benzina mi ricorda anche il racconto di Edgar Allan Poe, “Il diavolo nel campanile”, dove un rintocco in più non previsto e non atteso, la rottura dell’ovvio, del quotidiano, di ciò che diamo per scontato, getta nel terrore, sgomento e follia un’intera comunità.
Ma non ci vedo nessuna allusione positiva in questo, nessun “meglio! così impariamo a usare le bici – così impariamo a fare a meno delle macchine inquinanti”. No, solo “parole sconnesse e brutali”.
Posso rispondere parlando della mia esperienza in questi giorni. Mia madre nel mio paese in provincia di Agrigento gestisce un rifornimento di benzina, che naturalmente è rimasto a secco come tutti gli altri rifornimenti. Anche se innumerevoli persone ci hanno tartassato dalle sei del mattino fino a sera tarda porto l’esempio più fastidioso .Una signora ha chiamato almeno quindici volte per sapere se era arrivata la benzina, perché fa la professoressa e non sapeva più come raggiungere la scuola. Quella scuola è a meno di un chilometro dalla sua abitazione e lei ha l’aria d’essere una quarantenne borghese più che in forma. Inoltre il rifornimento dei servizi pubblici, autobus , ambulanze , polizia , comune ecc. è stato garantito. Io credo che ci sia una non sensibilità diffusa nella nostra terra,e poca voglia di informarsi . Ma in molti vogliamo credere a una possibile rigenerazione .
Perché si parla di protesta brutale e sconnessa?
La protesta è più che organizzata, e serve a tutta quanta l’Isola, non si voleva danneggiare la Sicilia ma dare un forte scossone visto che qui si sta davvero esagerando col sonno.
La Sicilia estrae e raffina il 40% del carburante nazionale , nonostante ciò il suo prezzo include un 70% di tasse che non hanno nessuna giustificazione reale. Non solo hanno a che fare con un altra epoca, ma per di più queste tasse non vanno nemmeno alla regione Sicilia , ma alla Liguria.
Tutto ciò danneggia economicamente soprattutto il produttore e il cliente. Specie nel settore dell’agricoltura .
Si protesta per questo e per tante ragioni importanti che ci danneggiano enormemente.
Questi movimenti sono sicilianisti , non ci lasciano morire di fame o di sete, hanno creato un danno economico importante e un enorme disagio per scuotere tutti noi abitanti e i nostri meravigliosi politici.
Difatti la protesta si sposta , ed ora il disagio sale sù per tutta la penisola e così sia.
Non dite brutale e confusa.
Molti giornalisti sono degli infamoni.
Cara nadienadamas,
ti ringrazio per aver letto e commentato il mio articolo che, come anche il tuo contributo, voleva criticare la nevrosi collettiva da cui molti si sono lasciati prendere in questi ultimi giorni. L’esempio che hai fatto è più che calzante. Tengo però a specificare che non sono una giornalista ma una giovane che scrive su questo sito dove, liberamente, esprimo il mio punto di vista.
In questo caso il mio punto di vista parte da una riflessione che ho fatto ascoltando e leggendo, con attenzione, interviste e servizi dedicati all’argomento e quello che ne ho ricavato è un’opinione diversa dalla tua. Non mi piacciono i sicilianismi e credo che un vero rinnovamento non possa che partire dai bisogni collettivi, da un modo diverso di pensare all’economia. Niente particolarismi perché tutti soffriamo della crisi, o meglio, soffriamo dei disagi di una economia che nutre bene chi più ha e che lascia morire chi non ha niente. Non credo che utilizzare la parola “infamoni” sia corretto perché è giusto e fa parte dello scambio democratico, esprimere il proprio pensiero come anche tu e il movimento avete fatto, punto di vista che. in ogni caso, rispetto. Dico solo che, in merito a ciò che ho ascoltato e letto, ho definito questa protesta brutale, perché non condivido i modi e sconnessa perché le parole d’ordine mi sembrano confuse. Un mondo nuovo e una economia più equa sono cose possibili, a mio modesto parere, se si riprogetta collettivamente ogni aspetto del vivere. Ti ringrazio per aver voluto dare il tuo contributo alla discussione.
Carissima Stefania,
L’aggettivo ‘ infamoni ‘ non era riferito naturalmente a te, ma a molti giornalisti che hanno omesso cose o detto falsità rispetto alle dinamiche reali della protesta. Capisco il tuo punto di vista e lo rispetto. Grazie anche a te.
Preciso una cosa, non sono sicilianista e non amo nessuna nazione in particolare.
Ancora grazie.
Sefania mi sei piaciuta molto, ogni giorno ci vai vedere una notevole maturazione dell’animo e della scrittura, un forte abbraccio