aggiungi un posto a tavola per il governatore, e pure in aereo, yacht, resort, Antille …

28 aprile 2012 di: Daria D’Angelo

Nelle due settimane del 2008 va via un capitale: per il cenone al Cusinart partono 1.800 dollari, il modo più glamour per brindare nel ristorante affacciato sulla piscina. Ma è solo il primo di una lunga serie di pasti faraonici. Oltre 2000 euro vanno a una società locale che noleggia yacht e motoscafi. Più di mille alla Air Services che affitta aerei privati per spostarsi tra le isolette. Infine la villa: l’Altamer Resort dei divi. Il 12 gennaio 2009 Daccò versa con la sua American Express 14.420 euro. Ma dovrebbe trattarsi solo degli extra. Il conto finale del soggiorno va dai 60 mila euro in su.

Formigoni risponde alle accuse: «Scusate, plotone di esecuzione della stampa politicamente avversaria, non è un reato. Le spese delle carte di credito di Daccò sono elevate perché si riferiscono a conti collettivi. E se ci sono biglietti aerei e una settimana di vacanza alle Antille con cifre importanti, scusate tanto, non sono Brad Pitt ma me le posso pagare, me le sono pagate col mio stipendio…C’entra qualcosa il mio personale modo di atteggiarmi, i miei limiti personali, i miei gusti o non gusti, con l’oggetto proprio della valutazione di un buono o cattivo amministratore? Che cosa si deve giudicare: le mie camicie o i miei atti di governo? Le mie giacche o le mie leggi?» No, in questa vicenda, caro Formigoni, le direi che non è in gioco una questione di privacy, e se davvero volesse fugare ogni dubbio, basterebbe richiedere una distinta alla banca, dalla quale sarebbe facilissimo verificare se alla vigilia di quel viaggio lei ha movimentato denaro per sostenerne le spese.

Non vogliamo giudicare le sue camicie, ma i suoi comportamenti, i suoi “atti di governo”. Esigere una risposta alle domande inevase sulla sua “Vacanzopoli” non è spiare come spendono il proprio tempo e i propri soldi i ricchi e i potenti di questa “classe dirigente” italiana, quello che lei non comprende, e con lei molti disinvolti “ideologi della libertà”, pronti a confondere la difesa delle regole con il “moralismo”, è che lei può andare in vacanza con chi vuole, può passare i Capodanni dove vuole, può pagare quanto e come vuole, ma non può lasciare che aleggi il sospetto che i suoi viaggi e le sue vacanze siano pagate non da un amico qualsiasi, ma proprio da “quell’amico”, che lavora con e per le imprese appaltatrici della Regione Lombardia. Perché in questo caso, anche se non dal punto di vista penale, almeno dal punto di vista fattuale quella che viene chiamata “compensazione” si può rivelare, molto più realisticamente, una forma di corruzione.

Per questo, governatore, deve rendere conto, e fornire tutte le risposte che mancano. È questa la fatica della democrazia, e l’etica della responsabilità, perché, sarà un caso, ma molti credono che Daccò aveva motivo di essere generoso con lei, e pensano che non sia stato un caso che proprio alla vigilia della partenza per le Antille, la Regione aveva varato la legge ispirata dalla sua attività di lobby. Un provvedimento che ha consegnato agli ospedali privati lombardi 176 milioni per aggiornare le loro strutture, senza nessuna prestazione in cambio. La Fondazione Maugeri ha ottenuto 30 di quei milioni, e ne ha pagati tre ad una delle società estere di Daccò, dal momento che non gli mancavano certo i fondi. Lasciamo da parte le sue camicie fiorate, i suoi maglioncini colorati, il nostalgico riferimento alla scherma da lei praticata in giovane età, il patetico spot nel quale vuole dimostrarsi sportivo, attivo e intellettuale, saltellando per lo schermo, impegnato a mostrarci la sua agenda di post-it. Però, assistendo a questo piccolo caso di pubblicità spazzatura, dispero molto sulla possibilità di avere delle risposte, credo invece che lei sia molto, ma molto lontano dalla semplice “consapevolezza” di quanto scorretti siano i suoi comportamenti, e quanto sdegno possano suscitare.

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